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do you read me?
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… non l’unica
i colori sono assai ma ben presto li saprai al visionario fino al 31 ottobre un’installazione fotografica di claudia barberi, giovane(?) architetto udinese sulla parete della biglietteria (ormai così carica di ricordi) sono accatastati dei cartelli montati su paletti ciascun cartello alloggia una foto stampata su carta da fotocopie il catalogo invece, è una striscia che ricorda i campionari pantone mentre il libro delle firme un taccuino cui sono collegati con nastri di raso dei pennarelli l’ultimo giorno sarà possibile portare a casa la foto preferita (senza litigare, I hope) le singole immagini non hanno in verità niente di particolare, sembrano quelle in cui ci si imbatte muovendoci nell’incessante fotoflusso della blogosfera e di cui tanto mi lamento quotidianamente, ma l’effetto complessivo è al contrario inedito ed interessante / una installazione bulk da cui traspare la cura nella collocazione delle foto al fine di creare sezioni cromatiche, così che l’assemblaggio regala l’effetto di un arcobaleno di carta / anche la scelta dei cartelli come supporto (simili a quelli che si piantano nel terreno, per intenderci) offre lo spunto per figurarci una staccionata colorata, un margine oltre il quale esiste, persiste e pullula l’universo di immagini indifferenti pubblicate da milioni di utenze . [ scatti dal cellulare ]
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ieri sono stata al cinema per vedere urlo e sapevo sin da principio che non sarebbe stata una visione entusiasmante perché conosco ed amo troppo le strampalate e commoventi storie dei beatniks per potermi accontentare eppure, essendo il film diretto da due documentaristi, mi sarei aspettata qualcosa di meno televisivo e patinato il periodo beat fu contraddistinto da una forte inclinazione allo sperimentalismo frugale, quotidiano, dall’invenzione spicciola quanto ininterrotta e dalla difficile e inebriante rottura delle regole perbeniste dell’america postbellica tutto ciò arrivò da noi più tardi grazie al binomio pivano-feltrinelli e venne filtrato e idealizzato dal decoroso provincialismo italiano, mentre per farsi un’idea più obiettiva sull’estetica beatnik sarebbe piuttosto indicata la visione di pull my daisy di robert frank (1958) , per intendere quella particolare, meravigliosa, malinconica e sfuggente inconsistenza che contraddiceva l’ambiente beat: ciò che realmente manca nel film visto ieri e che difficilmente si può ottenere se non rinunciando alle finiture leccate ed alle postproduzioni maniacali infatti, se da un lato vige una rigorosa filologia, dall’altro il film la rinnega puntualmente per adattarsi ad esigenze di maggiore godibilità cinematografica, perdendo così fedeltà narrativa, profondità di campo e credibilità – non mi sarebbe dispiaciuta la scelta di accompagnare alcuni brani del poema con le sfolgoranti animazioni ispirate ad illuminated poems e mirabilmente disegnate dallo stesso eric drooker (ma integralmente realizzate in tailandia, ndr) se tali animazioni non fossero state così esplicitamente contemporanee, impeccabili e computerizzate – e mi sarei aspettata che il be-bop fosse la reale colonna sonora della storia, senza il ricorso accondiscendente a musiche di compromesso, più recenti e non contestuali inoltre suggerisco caldamente la visione in lingua originale, auspicandomi che le letture da ginsberg siano meno raccapriccianti [ come scritto sugli spietati a chiosa di un’ottima recensione: doppiaggio inopportuno fino al masochismo ] — :-) . |
fotografie apparentemente semplici sottendono una ricerca sulla visione incentrata soprattutto sul riflesso e la deriva ottica
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immagino che ricominciando a pubblicare disegni e lavori grafici il blog ritornerà almeno in parte ai ritmi di frequentazione precedenti / molte persone pensano a un vezzo modaiolo, la gran parte vogliono piacevolezza realizzare questi disegni dovrebbe diventare un modo per sbarcare il lunario? poi c’è la questione della definizione formale, dello stile non che questa cosa mi dispiaccia …ma l’utilità? perchè allora il lavoro visivo deve rappresentare l’eccezione, perchè questa frivola via di fuga? |
ne scrivono da varie parti, con rammarico e dispiacere c’è bisogno di questo? oppure il genio consiste nell’operare una rivoluzione che conduca ad altri livelli di conoscenza e soprattutto di consapevolezza? questa visione individuale così ben interpretata da mcqueen non ha caso si conclude con una morte altrettanto individuale, che nulla spartisce con il mondo e che nulla di sostanziale cambia del mondo e delle sue verità urgenti allora lo dico, qui adesso oggi – la parola lusso mi disgusta |