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son tornata ormai da così tanti giorni che il viaggio si è quasi annullato nella monotonia domestica di queste giornate agostane – nuvolose, malferme, improduttive / ma non mi dimentico delle pietre – di scrivere della leccese, del tufo, di calcari millenari che sembrano un legno smussato e svuotato dai tarli /
la pietra salentina è dolce, in particolare quella leccese si lascia s-formare da ogni tocco e da ogni soffio, dalle carezze dei fedeli nelle chiese, dall’acqua, dal vento – persino la luce ne altera progressivamente le superfici e il tono … nella consolidazione assume una tonalità di colore ambrato simile a quella del miele (wiki) e così, girando per le strade di lecce sotto al sole, gli occhi si riempiono d’oro, di chiaro, di giallo paglierino, di una luce abbagliante e quasi gonfia di se stessa, dalla monotona assolutezza, ma pur elegante e impreziosita dai ricami dei balconi in ferro e da certi barbacani rifiniti come merletti grazie alla docilità delle polveri sottili di cui è formata la massa calcarea / ma anche l’estetica del non finito trova in questa pietra il suo alleato finale, la chiave che ne definisce in modo perentorio l’ineluttabilità / non tutto si costruisce in pietra leccese, le cave salentine sono ricche di tufi calcarei quasi altrettanto docili anche se spesso dalla grana meno fine – sono pietre che non sopportano impassibili il passaggio delle stagioni, permettendo alle meteorologie di scrivere il loro transito sulla superficie della materia / i muri diventano calendari, raccontano l’età degli edifici, le sostituzioni, le tappe questa stratificazione amplifica la vibratilità precaria del paesaggio, ne evidenzia gli stadi di caducità – alla base dei muri si conservano persino i minimi detriti, nulla si spreca, tutto si recupera, ma all’interno di un sistema estetico privo di una definizione, di una teoria / è una costruzione che imita le macerie, inconsapevolmente i tufi invecchiano velocemente, si liberano presto della loro patina dorata per farsi grigi, ed ospitare muffe nerastre che proliferano con il lavaggio dell’acqua piovana / questa pigmentazione che ricorda una qualche sorta di affumicatura rende il materiale particolarmente vivo, potrebbe diventare persino una speciale forma di ornamento superficiale – in un simile contesto invece finisce per accentuare inevitabilmente il lato tragico del deperimento, èd è la vecchiezza misera dei muri, non quella archeologica e preziosa, bensì quella più ordinaria e dismessa del quotidiano, che troppo assomiglia all’incuria per poter esser considerata in termini valorizzativi la pietra smangiata dal clima è fragile, friabile – mi è capitato di prendere tra le dita quelle rimanenze tondeggianti che sopravvivono al vuoto dell’erosione e di scoprirne la delicata inconsistenza, trovandomi in mano senza sforzo frammenti di muro, docili e inermi / non è un deperimento omogeneo, e le strutture sono costellate da un ricamo irregolare, difficilmente prevedibile, che infonde loro una vitalità particolare / alcuni conci sembrano sciolti, altri scavati meticolosamente, altri sopravvivono impassibili e intonsi – lo stesso accade in parte alla patinatura nerastra che non attacca le pietre in modo assoluto, ma che provoca una perdita inevitabile dei toni caldi, facendo somigliare il materiale a una leca millenaria o ad un cemento
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… si tratta di granturco – a dire il vero
. malinconie dolci e la parentetica fortuna di rimanere fermi – per un poco – anche nel movimento ] tra i sogni, quello ricorrente dell’altrimenti [
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30.07
sono piuttosto arrabbiata e frustrata per le mie foto in spiaggia - nella radio ascolto voci a me incomprensibili che arrivano da grecia e albania… è una faccenda complicata spiegare perché non ho trovato il salento particolarmente riposante / forse capita, di fronte a ciò che si impone nella sua forte definizione / credo sia proprio tale forza a spaventarmi, un contesto talmente connotato da risultare incorruttibile (che in questo caso specifico potrebbe voler dire anche irrimediabilmente corrotto? … ) ci troviamo in un tipo di mondo dove l’esposizione personale è ancora impensabile, soprattutto da parte delle donne / non parlo certo di lecce, o delle famiglie borghesi dei centri maggiori / parlo del salento popolare, delle famiglie operaie o contadine, dei ceti medio-bassi che riempiono le campagne e abitano un territorio apparentemente urbanizzato ed in realtà contraddistinto dall’estetica del non finito, che incista la modernità dentro a contesti ancora molto antichi, non si capisce bene se per indolenza cronica o per cultura millenaria / chissà che rabbia per qualcuno, sentir parlare in questo modo un forestiero, uno che viene da lontano / ma le sensazioni provate sono state così forti da non poterle frenare / quanto c’è di pregiudizio in questo?
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sono a galatina per vedere gli affreschi nella chiesa di santa caterina mentre cammino mi imbatto in un portone che chiude un laboratorio le cui pareti sono tappezzate di vecchi attrezzi, fotografie ed ephemera / pare di entrare in un altro tempo / mentre scatto timidamente la prima dalla strada lui percepisce il suono dell’otturatore e mette fuori la testa per guardare, mi chiama e mi prende per mano guidandomi all’interno / non posso andarmene senza aver fotografato questo, e questo – dice – guardi, guardi … paolo realizza tappetini e tappezzerie per autoveicoli – ma nel suo laboratorio, è evidente, potete trovare molto di più
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il paesaggio mi sbilancia continuamente verso poli opposti, l’estetica è contraddittoria, lacerata – il verso delle cicale è una costante di sottofondo e nei momenti di silenzio diventa qualsi assordante / la prima parola che trovo nel mio vocabolario, dopo pochi minuti di viaggio sul territorio, è ipnotico: l’esterno mi provoca una particolare forma di stordimento – sarà la stanchezza, o forse il caldo, o gli ulivi che si susseguono come sculture nella loro bellezza antica – tutto è ridondante nell’assenza di monotonia, si ripete con particolare violenza e non pacatamente, finisce per provocare una forma di partecipazione stupfacente / così va in crisi l’immagine di un salento dolce e morbido per cedere spazio a un’estetica forte e quasi insidiosa, dalle radici piantate nel medioriente / la vegetazione è lussureggiante, le ultime estati sono state meno torride e le piante non sono ingiallite / ci sono rododendri, fichi, palme, capperi, agavi e grandi macchie di cactus che stanno buttando i primi frutti ancora acerbi / viaggiando in corriera vedo campi coltivati e contadini curvi a raccogliere meloncelle (menunceddhe) e pomodori / masserie da mille e una notte, muri a secco, furni dove dormono o dormivano gli agricoltori con la famiglia tutta durante la stagione più calda / le cicale mi stordiscono, le senti anche in spiaggia, acquattate nelle pineta alle mie spalle – devo tuffare la testa sott’acqua per fermare quel suono spettrale |
il set completo è su flickr (l’ultima foto invece è stata scattata nella cattedrale di otranto)
. sto bene solo quando posso salire su un autobus e andare dormo in una stanza arredata con cura la mattina mi litigo la vasca con un grosso scarafaggio mangio poco – mi dimentico devo pensare a non essere troppo infelice concentrarmi sul prossimo autobus e tenere la bocca chiusa ho quasi 47 anni e nemmeno una ruga una piccola parte di me ancora mi assomiglia e questo vento che scuote dolcemente le ombre mi fa compagnia mi manca un internet point + qui tutti sornioni 25.07
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