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tutto da fare e/o da rifare – ma finalmente senza di lui
dopo diciassette anni e quattro mandati, voglio pensare che si cambi rotta
che l’incubo di avere un simile capo del governo possa giungere alla fine
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nascere e vivere qui invece non consente alcun riscatto, crescere nel cuore di una terra così chiusa su se stessa da togliere il respiro, soffocandoti con foglie di pannocchie e vecchi foulard usciti da qualche boutique costosa e conservatrice qualcuno si veste come fossimo a parigi – pretenziosamente per poter essere autenticamente diversa la città dovrebbe esplodere dal di dentro, rinnegare se stessa – questa terra dovrebbe rivoltare le sue zolle così profondamente da inghiottire tutte le ville e le villette che costellano il territorio, dovrebbe veder inabissare i suoi negozi costosi e allineati, le sue rassegne culturali senza una sbavatura, le mostre d’arte giovanilmente pacchiane, e sterminare le centinaia di uomini brizzolati con le stesse giacche inglesi e le loro macchine ingombranti, che all’ora dell’aperitivo ridono disinvolti credendo di essere al centro del mondo . 05112011 0820le strade allagate di genova – altri morti, auto distrutte, locali devastati ci sono stati dei morti bambini il territorio, l’abbiamo tradito, ed ora ci abbandona sempre più spesso alle inteperanze prive di proprozioni umane delgli elementi naturali / se la prendono nei denti i più fragili, gli innocenti ingenui che hanno creduto che le amministrazioni sapessero fare il loro lavoro, se la prendono nei denti i bambini morti, gli anziani che non riescono ad aggrapparsi ai pali della luce e scivolano deboli e lenti nel fango arrembante, se la prendono nei denti le famiglie che vedono andarsene in un fiome di melma i loro ricordi, le loro fotografie, le suppellettili, i vestiti e gli elettrodomestici, le banconote insieme ai cadaveri emergono dall’acqua gli spettri degli errori commessi, le conseguenze tragiche dell’avidità umana, dell’ignoranza e dell’indifferenza – ma sicuramente i nostri politici e gli imprenditori faranno finta di non vederli e continueranno a pensare ai loro profitti, ad affermare che in italia i ristoranti sono pieni e tutto va bene [gli altri italiani, nel frattempo, pensano al costume di halloween o alla partita di calcio …] |
siamo arrivati al punto in cui, pur di non attaccare i benefici di chi si trova al comendo, pur di non infierire contro i grandi evasori fiscali, pur di non impegnarsi a una revisione seria delle spese della politica, pur di non applicare con determinazione tasse più alte per le attività produttive ecologicamente discutibili, pur di non tagliare drasticamente le spese militari, si ricorre alla dismissione dei beni dello stato, cedendoli a privati
il patrimonio italiano, già massacrato nel corso dell’ultimo ventennio, subirà la mazzata finale
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. [ nel frattempo – ancor più deprimente – si son susseguite due giornate di scioperi della scuola, disgiunti, venerdì i cobas, sabato la cgil: …ma dove è finito il limite oltre il quale i lavoratori perdono la pazienza e smettono di farsi prendere in giro dai sindacati?? ] come ho accennato in un articolo precedente, il progetto “inédite” mi ha offerto lo spunto per alcune riflessioni sulla penosa situazione del nostro paese, considerazioni che forse non troveranno uno sbocco puntuale nella realtà ma che vorrei contribuissero a un’analisi disinibita degli strumenti di lotta e rivendicazione attualmente a disposizione dei cittadini – si tratta di aspetti a tratti marcatamente idealistici, ma non per questo secondari, che potrebbero a mio parere indicarci alcune direzioni plausibili / mi pare evidente che servono strumenti di lotta diversi, più radicali al contrario, seguo dal suo inzio con entusiasmo e interesse l’occupazione del teatro valle in roma, che sta offrendo un esempio bellissimo di come si possa convertire un momento difficile in una preziosa esperienza collettiva di arricchimento, i cui valori di fatto prescindono dai risultati possibili, essendo in ogni caso costruttivi in termini di sensibilizzazione politica e culturale / qualunque sia o sarà il destino del teatro e dei suoi lavoratori, tutte le persone impegnate nell’occupazione avranno goduto durante questo periodo di una eccezionale occasione culturale, sociale e naturalmente politica e questo rende il progetto un investimento collettivo in sè stesso / immagino che una delle scelte possibili in questo momento in italia (se ne son visti numerosi focolai già l’anno scorso) sia quella di riprendersi ciò che ci appartiene – riappropriarsi degli spazi e dei beni pubblici significativamente coinvolti da politiche sbagliate – quegli spazi e quei beni che il malgoverno in atto da moltissimi anni sta convertendo e rovinando progressivamente per costituire una realtà a proprio uso e consumo, a discapito di un paese dove la qualità della vita e delle istituzioni (le due cose son strettamente legate) peggiora irrimediabilmente / si rende probabilmente necessaria la formazione di comitati di occupazione (niente di militaresco, bensì aggregazioni spontanee e pacifiche di cittadini), gruppi di persone disposte a comunicare attraverso gli spazi fisici i loro diritti, assumendone il controllo fisico collettivamente, prima che vengano definitivamente posti al servizio di una politica sbagliata / fermare alcune attività (compiendo un’occupazione civile e rispettosa delle categorie indispensabili e necessarie) rappresenta una possibilità concreta di azione permanente dove ogni partecipante fornisce un contributo in funzione delle sue possibilità (occupare, cucinare, scrivere, insegnare, suonare, offrire manodopera e materiale) / in tutto questo l’invenzione e la creatività svolgono un ruolo sociale imprescindibile, e la lotta per i diritti umani è di fatto molto vicina all’opera d’arte dal momento in cui contiene un valore intrinseco indipendente dal risultato finale, perché costituisce sempre un arricchimento se osservata in una prospettiva storica ed umana i social network sono e sono stati importanti per la diffusione delle notizie e la trasmissione dei messaggi, per trovare aree di discussione teorica e riscontro su molti temi, ma come ci sta dimostrando il valle c’è bisogno di riassumere una relazione fisica con la lotta politica, una relazione attiva, compromettente e partecipativa / se volete fate girare questo messaggio, provate a dare una chance a riflessioni che per quanto utopistiche contengono dei barlumi di fattibilità e degli spunti di cambiamento / date spazio alla possibilità di cambiare le cose e soprattutto non abbiate paura di essere politici nelle vostre considerazioni e ancor più nelle vostre azioni, perché politica è tutto ciò che riguarda la polis, le persone intese in quanto collettività, e non espressione degli interessi particolari di uno o dell’altro partito |
invece di sostituire l’arte alla vita, gli architetti urbani dovrebbero tornare a una strategia che nobiliti sia l’arte, sia la vita, e che valga a illuminare e a chiarire la vita, a spiegarcene i significati e l’ordine: nel caso in questione, ad una strategia che valga ad illuminare, chiarire e spiegare l’ordine urbano / jane jacobs
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I quando arrivo, il tendone dove tra pochi minuti si svolgerà l’incontro con vittorio gregotti è moderatamente affollato – mi guardo in giro e mi domando dove siano gli architetti: poi guardo meglio e realizzo con un guizzo di disperazione che ne sono circondata, che annego in una platea di laureati in architettura vestiti come camerieri, play-boy a riposo che soffrono di nostalgia o agenti di commercio pronti per suonare il campanello e venderti un’aspirapolvere / addio stile / bonjour tristesse
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II quanto sopra, ancor prima che vittorio gregotti dia inizio alla dissertazione sulla città pubblica (forzatamente o fortunosamente solitaria, dato che l’interlocutore è assente) / mi aspetto un discorso politico, ed in effetti quella che viene inizialmente posta come una questione estetica conseguente allo svuotamento dei contenuti teoretici e degli obiettivi programmatici inerenti la disciplina architettonica, svela progressivamente la drammatica condizione del rapporto non risolto tra oggetti architettonici (il più delle volte mediocri), abbandonati a se stessi, a galleggiare in un magma spaziale che è appannaggio di speculazioni e rendite private, un territorio post urbano intenzionalmente deregolarizzato in modo da massimizzare tale processo di barbarie edilizia e la proliferazione di scenari ormai tristemente familiari, caratterizzati dal profilo grossolano di qualche centro commerciale o da blocchi edilizi seriali privati di qualsiasi minima forma di intuizione progettuale / (l’immagine qui sopra parla da sola) quello che sconcerta è l’indifferenza generale e la connivenza istituzionale che circondano tali scenari, l’indifferenza di cittadini pur deprivati del diritto al paesaggio e alla qualità urbana, ma anche degli stessi architetti, che di fronte a certe commesse di dubbio valore non girerebbero tanto facilmente la testa dall’altra parte, ipnotizzati da un’ulteriore occasione di clonare matericamente il proprio ego di calcestruzzo /
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III così – l’altro giorno gregotti parlava dello spazio tra le case, uno spazio di cui nessuno si occupa a livello politico affinchè possa rimanere il più a lungo possibile mercè della speculazione e dell’edificazione indiscriminata di grandi e piccoli oggetti di design tendenzioso, che praticano una mimesi superficiale con le mode del proprio tempo, mettendo in atto un rispecchiamento senza architettura / lo spazio tra le case e quello tra le cose insomma, possiamo dirlo senza temere di esagerare: stanti così le cose gli architetti non alterano l’esistente a livello sostanziale e dunque sono inutili – anzi, il più delle volte sono dannosi, perché utilizzano la materia come se fosse la più immateriale ed effimera delle sostanze, come se fosse un gas tossico che invade i lotti urbani addormentandone i fermenti, o la tintura di un parrucchiere che dopo qualche lavaggio restituisce ai capelli il tono orginale invece è necessario trovare modelli efficaci – che lavorino su un livello altro rispetto a quello individuale / perchè fare bene le proprie cose (e le proprie case) non basta più, c’è bisogno di inventare un tessuto connettivo e di strutturarlo / c’è bisogno di chiedere alla politica che faccia il suo lavoro, che si occupi del territorio, delle case e dello spazio tra le case, ma anche di cercare risposte teoretiche che riportino la disciplina a una condizione condivisa
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IV la gran parte delle questioni trattate dal “vecchio professore” (*) durante l’incontro si trova condensata nel primo capitolo di “contro la fine dell’architettura” (da cui ho prelevato tutte le citazioni di questo post) / se andate a leggere, a un certo punto inciamperete nelle parole magiche: senso di necessità della pratica artistica sembra così semplice a leggerle sulla carta! e pare che le soluzioni a tutti i problemi siano condensate in quella piccola frase / se ci interrogassimo con costanza sulla necessità di ogni azione professionale, di ogni atto pseudo-artistico od architettonico, sulla necessità di un acquisto così come di una scelta di vita, e soprattutto, se tale domanda fosse il metro di giudizio in merito all’esistente, forse potremmo sviluppare la coscienza critica necessaria a ristabilire un ordine delle cose, premessa a qualsiasi forma di civiltà e di vitalità professionale e artistica / a un ordine potremo successivamente opporre qualche forma di disordine, sarà lecito e auspicabile trasgredirlo e metterlo in discussione, rifondarlo – ma là dove non c’è alcuna possibilità di avere dei riferimenti chiari, qualsiasi azione diventa aleatoria, soggettiva, effimera – appannaggio delle forze dominanti, che sappiamo essere quelle del mercato e non certo quelle mirate alla salvaguardia della civiltà e della cultura / sono le domande che potremmo porre a noi stessi (prima ancora che all’esterno) a conformare il progresso, è la nostra capacità di mettere in atto ragionamenti critici, migliorando le nostre azioni per poi pretendere il miglioramento di uno stato comune abbiamo a suo tempo votato per una democrazia e con il passare del tempo ci siamo illusi o abbiamo deciso che tale democrazia, anziché rappresentare un’opportunità di crescita a tutto tondo, fosse impostata unicamente sul raggiungimento di un benessere materiale, dimenticando come tale benessere vada mantenuto e sostenuto attraverso meccanismi culturali che garantiscano la permanenza delle regole (anche quelle più elementari) della civiltà e del rispetto
(*) detto in senso bonario e con il massimo rispetto per quella sua età così ricca di esperienza |
immagini:
- vittorio gregotti a pordenone legge
- allen jones – chair 1969
- centro commerciale euroma 2
- francesco rosi – le mani sulla città 1963
- bill owens – suburbia 1972
do you read me?
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la tv non puzza il web non ha odore e b non farnetica di primo acchito potrebbe sembrare una delle tante stupidaggini bislacche a cui ci ha abituati nel tempo, l’affermazione ad opera del premier che i politici di sinistra non si lavano, uscita in calce a un discorso che mirava a dipingerli come ostacolatori di libertà e democrazia, ed invece non ho voglia di sorvolare, perché quell’affermazione così puntiforme e apparentemente fuori contesto riesce a toccare un nervo scoperto, un’idiosincrasia mai apertamente dichiarata inerente le abitudini di vita che soprattutto a partire dal dopoguerra ci hanno condotti verso un’esistenza senza odori (o quasi) ed a un meticoloso controllo che fa dell’igiene uno dei gangli fondamentali intorno a cui ruota la nostra quotidianità /
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