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scorrono giorni senza aprire un libro – impercettibilmente più vuoti
il treno è veloce – il viaggio di un quarto d’ora
non c’è tempo sufficiente per concentrarmi sulla lettura o sul diario
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inaspettatamente – sono i bambini più fragili a usare la parola verita’
moscerini che masticano un elefante – tesori friabili e piccole magie
ps
la cinquecento era parcheggiata proprio di fronte alla porta di casa
le parole sono di roland barthes
decido di non muovermi, di lasciarmi trasportare
mentre vado verso il caffè, la piazza rivela alcune bancarelle quasi soffocate dal bianco
in un mucchio di vecchi stracci ho scovato un soprabito blu di gabardina e una camicia celeste
le cose – vissute da altri, toccate da altri, sporcate da altri – mi chiamano con più forza
poi essere così
essere come quella casa lì
con le pareti sostituite da lievi azzurri fogli di plastica che si gonfiano di correnti d’aria,
teli fermati in modo perentorio e drammatico da vecchie assi assemblate stocasticamente
che sconvolgimento, essere così!
plastica legno vecchi intonaci – travi a vista puntelli e calcinacci
intorno una lamiera che già comincia a imbrunire di ruggine e segnalatori catarifrangenti
una casa priva di sé, che conserva i contorni e le aderenze della memoria
essere così – squarciata ed esposta
malamente suturata, slabbrata, accerchiata
un vuoto urbano – pieno zeppo di dettagli
non c’erano romantici fiori rappresentati nell’arte più antica
ma pesci, bisonti, madri – e simboli
ciò riconduce ancora una volta al valore di necessità dell’espressione umana …
sento di attraversare un momento molto delicato in cui l’assenza di soluzioni evidenti potrebbe convertirmi a un’intransigenza esasperata
eppure gli occhi non si stancano di guardare – ed ogni sguardo è quadro musica: branduardi
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la primavera porta con sè debolezze smisurate
ma anche luci bellissime
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(parole: baudelaire)
quali le tracce dell’abbandono? dove comincia il sentiero che ti conduce a guardare dalla distanza, come si trattasse di un viottolo parallelo ma defilato, che se allunghi le mani quasi li tocchi, ma solo quasi e non veramente, con il pensiero, piuttosto, sentendoti in colpa per aver provato e non voluto? ecco di nuovo un diario delle domande – retorica sciorinata di questioni inevase
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