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essere poeta non è certo cotonare le parole, portarle dal parrucchiere
piuttosto è cambiare il mondo attraverso la scrittura  mettendola al serivzio dei pensieri, dando loro la forma sostanziale – necessaria
sempre più spesso si dimentica che non è l’involucro ma la sostanza a scalfire lo stato delle cose
ciò non implica che la scrittura debba trattare esclusivamente di temi importanti, ma che esige disciplina, ricerca, sacrificio – non è il flusso incondizionato e grazioso di lemmi, virgole e sospiri che ricordano da vicino le esternazioni adolescenziali
quanti blog sono ormai saturi di versi e non contengono nemmeno una riga di scrittura!
per esempio, s’è mai visto nella storia un poeta che abbia scritto solo e soltanto poesie, trascurando di esercitare il suo talento e la sua intelligenza in tutte le espressioni che la scrittura contempla, inclusa quella dell’analisi storica?

a me pare troppo facile questo modo di far poesia: lasciare che la cose vadano da sè, senza un’utilità, né intima né tantomeno collettiva – senza (appunto) quello stato di necessità di cui parlo spesso e che sembra essere ormai molto raro in tutte le manifestazioni artistiche
è un modo di esprimersi che equivale alla superficialità del sentito dire, basato su argomentazioni mai approfondite che a malapena sfiorano il senso delle cose …
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il piccolo testo di rilke è a casa, dai miei
così stamattina ho pedalato fino alla biblioteca avvolta dalla prima nebbia per recuperare una copia

le parole che ho scelto sono così facilmente fraintendibili, l’ego le può trasformare nel loro esatto contrario

con parole semplici ho cercato di spiegare all’interno di una lettera il mio punto di vista (a partire da uno scambio via blog avvenuto tra salvatore d’agostino e ugo rosa) in merito al discorso politico italiano recente, spiegando perchè io non condivida un certo accanimento nei confronti di alcuni aspetti grotteschi e sensazionalistici che hanno assunto una rilevanza a parer mio eccessiva, in termini relativi, rispetto alle questioni fondative dello scenario italiano e del possibile futuro

salvatore d’agostino ne ha fatto un post su wilfing architettura


cosa ricavano le persone da questo snervante accanimento nei confronti dello stile bieco dei nostri politici e come possono riuscire a districarsi e trovare il margine impalpabile che divide l’estetica di quell’ambiente dalla sua inesistente morale? una buona parte del paese probabilmente pensa che il premier è un vincente proprio perché può circondarsi di donne belle e giovani e perché possiede una squadra di calcio: a loro non importa se tali piaceri vengono acquisiti solo ed esclusivamente tramite il denaro (spesso anche illecitamente guadagnato), perché parliamo di persone che tanto denaro non lo vedranno mai e che però ne rimangono inevitabilmente abbagliate

nessuna rivelazione piccante o squallida potrà scandalizzarli, perché tutto quel marciume si svolge all’ombra della ricchezza e del potere, e dunque il rumoreggiare dell’opposizione, martellante e monotono, non scalfisce minimamente l’immagine della divinità vincente

testo integrale  qui




(altro…)

Mathew Arnold, che fu (nonostante qui non si sappia, il che equivale semplicemente a dire che non si sa) uno dei grandi poeti del diciannovesimo secolo, definì, in una frase che divenne celebre, la nullità intima della civilizzazione puramente materiale: ‘A cosa ti serve un treno che ti porta in un quarto d’ora da Camberwell fino a Islington, se ti porta da una vita miserabile e stupida a Camberwell a una vita miserabile e stupida a Islington?’

In effetti, rappresentando appena delle facilitazioni funzionali a una vita che dovrebbe avere fini più alti, le conquiste materiali non significano nulla di per sè, se non quando dalle loro applicazioni realmente scaturisce qualcosa relativa a questi alti fini. Sulla natura di quegli alti fini possiamo opinare: per alcuni potrebbero essere semplicemente la grandezza nazionale (è un concetto limitato, ma è, per la maggioranza degli uomini, l’unica cosa che veramente li trascina fuori dal loro egoismo naturale, e così rende possibile che costoro facciano qualcosa in più rispetto al vegetare attivamente); per altri consisterebbero nella felicità umana (che è un concetto parimenti riduttivo, in quanto cani e gatti, se fossero capaci di concetti sociologici, non ne avrebbero un altro differente); per alcuni si tradurrebbero in determinati obiettivi religiosi; per altri (tra i quali io stesso mi includo) nella creazione di valori civilizzazionali – valori artistici, scientifici, filosofici – che servano da stimolo e da consolazione per gli uomini futuri.

In sè stessa la civiltà materiale non è affatto una civilizzazione, ma semplicemente un perfezionamento. Migliorano le condizioni in cui gli uomini vivono; gli uomini possono o meno migliorare. È risaputo da tutti i sociologi che le condizioni climatiche estremamente benevole tendano a disturbare il progresso e la civilizzazione del popolo che ne è soggetto, per lo stesso motivo per cui non suscitano opposizione, facendo vivere la volontà, non producono difficoltà alla vita, destando l’emozione, non creano problemi di vita, svegliando l’intelligenza.

Quando, poi, in opposizione a argomenti come quelli che da ogni parte – escludendo le parti democratiche e radicali che attaccano per una questione di fanatismo politico – si ergono contro il fascismo, si risponde con la regolarizzazione dell’orario dei treni, con il miglioramento del valore della lira, e, perfino, con la stabilizzazione dell’ordine pubblico (supponendo che la pace varsaviana sia un ordine), non si sta rispondendo con niente: ci si riferisce semplicemente ad una cosa differente e che non si attiene al caso.

Uccidere, torturare, ingiuriare, non sono fenomeni necessariamente coinvolti nella produzione del buon funzionamento dei treni. Non è inconcepibile che si possa migliorare la lira senza bru. ciare biblioteche private e imporre sulla stampa una censura di carattere fisico. La medesima manutenzione dell’ordine […]

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pubblicato nel n° 163 del  jornal i / 12.11.2009
alias 16.10.2010 / traduzione antonio cardiello

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dopo venezia mi è stato difficile pubblicare qualcosa
sono abbastanza demotivata dall’assenza di commenti come (e forse di più) dall’assenza di lavoro

(la verità è che non voglio tornare a scuola; l’idea di essere insegnante mi corrisponde sempre meno)

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dovrei cambiare modo di fotografare
meno pigro e diligente, meno logico e pedissequo

(ultimamente prendere in mano la nikon è fonte di imbarazzo, di annichilimento)

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leggo quando posso il libro di girolamo de michele sulla scuola
in bilico – tra essere dentro e rimanere fuori

(molto fuori, ultimamente – non vado nemmeno alle riunioni del comitato)

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gli amici e le loro belle case mi mettono in crisi
alcuni scelgono un destino borghese – un percorso di abbellimento (anche culturale) e fanno molti soldi

(tutto un formicolare dei pensieri, di fronte all’inutilità leziosa dei ‘miei’ di-segni)

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parole / david foster wallace via g. de michele



parole: orhan pamuk

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ti ritrovo, mia puerile pseudodanza innaturale
ti chiudo in un cerchio: e ti interrompo, ti rompo

luciano berio – sequenza XI – eliot fisk chitarra
testo – edoardo sanguineti


la caducità dell’oggetto-mezzo, il suo consumarsi nell’uso, tendono ad alterare nuovamente la struttura della cosa, che si rivela sensibile al fattore tempo seppur in misura e con modalità differenti da quelle umane / bisognerebbe far crollare le barriere dell’ovvio, restituire l’oggetto alla sua sempre rinnovata complessità, ed ecco che dall’oggetto si passa all’opera, opera d’arte si intende, che non solo restituisce dell’oggetto la pura bellezza, ma a quanto pare trattiene di questi la verità, il suo essere oggetto, le sfumature del senso e le sue fragilità di fronte allo scorrere del tempo [e farsi anche evento storico?] / entra in gioco una definizione estetica che non si confronta più solamente con la bellezza in quanto tale / heidegger cita ad esempio le scarpe contadine di van gogh, traendone il titolo per l’intero saggio / l’arte come porsi in opera della verità, il sogno di cezanne, così faticosamente perseguito eppur irrealizzabile nella sua completezza

26 luglio 2007

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ho sviluppato un modo (forse banale) per meglio individuare la presenza di un valore intrinseco nelle cose: è chiedermi sempre quale sia la loro reale significanza, il loro stato di necessita’ – oltre l’oggi, l’adesso, oltre il mio debole perimetro
queste interrogazioni (apparentemente) semplici mi hanno fatta sentire molto spesso in imbarazzo di fronte alle scelte compiute – aiutandomi talvolta ad eliminare alcune dipendenze e parecchie zavorre formali
ma non sono ancora riuscita a renderle sufficientemente efficaci nel lavoro creativo,  anche se ci provo – ogni giorno
(difficile prendere distanza da ciò che è parte di me)

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scrivere (come disegnare) mi costa fatica
prima di rendere definitivo un disegno passano giorni, settimane, a volte mesi
anche se non spesso, capita di tornarci persino a distanza di anni
(per esempio in questi giorni, con i lavori alfabetici)

poi mi accorgo che nel frattempo qualcuno ha preso le mie stesse idee e le ha sviluppate meglio
:)

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a distanza di giorni è la parola “cosa” (le cose dell’incipit) a colpire di più la mia attenzione
contenitore di situazioni e riferimenti generico ed esteso – estensibile
applico la selezione personale quanto più spesso mi è possibile
anche se a volte mi dimentico, mi distraggo, tergiverso – soprattutto indulgo
allora si solleva una questione ancora diversa:
quanto di quello che scrivo e pubblico qui dentro mi corrisponde?
il blog è una piattaforma di verità personali o diventa un luogo di mistificazione e persino chimerico?
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questa doveva essere una lettera
fu scritta verso la metà di settembre e mai spedita
la postilla invece (+) è di oggi

parole 1 / derrida
parole 2 / heidegger

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