Posted by tracciamenti on agosto 10th 2010 @ 5:00 pm
30.07
potrei mai abituarmi a questo paesaggio precario, irrisolto, selvaggio a volte com’è selvaggia la mafia? sembra di abitare un luogo appena uscito dalla guerra, dove tutti si arrangiano e lo stato è un’entità remota che neppure si è capaci di pronunciare
sono piuttosto arrabbiata e frustrata per le mie foto
non credo di essere riuscita ad andare oltre al folklore
ed invece c’era così tanto – così tanto da cogliere e da trasportare …
in spiaggia - nella radio ascolto voci a me incomprensibili che arrivano da grecia e albania…
è una faccenda complicata spiegare perché non ho trovato il salento particolarmente riposante /
sarà per via della questione meridionale, un fatto di coscienza, o per le cicale, oppure per altre svariate forme di ridondanza che mi impedivano di riposare l’animo / mi sentivo sempre sotto l’effetto di qualche fenomeno stupefacente e mai completamente al sicuro, nonostante il continuo generoso apporto delle persone, i loro consigli, i favori, i racconti fantasiosi od a volte invece solidi come la storia /
inoltre, situazione spinosa, era come se mi trovassi all’estero, in un paese remoto – addirittura in un altro tempo!
forse capita, di fronte a ciò che si impone nella sua forte definizione / credo sia proprio tale forza a spaventarmi, un contesto talmente connotato da risultare incorruttibile (che in questo caso specifico potrebbe voler dire anche irrimediabilmente corrotto? … )
immagino sia normale per i turisti non aver a che fare spesso con le istituzioni locali durante le loro vacanze, ma la sensazione lasciatami da queste settimane è stata quella di uno stato atrofico, ridotto a moncherino, dimenticato o peggio, tirato in causa come pura teoria, quale facciata di un mondo completamente altro, antagonista e sotterraneo /
ci troviamo in un tipo di mondo dove l’esposizione personale è ancora impensabile, soprattutto da parte delle donne / non parlo certo di lecce, o delle famiglie borghesi dei centri maggiori / parlo del salento popolare, delle famiglie operaie o contadine, dei ceti medio-bassi che riempiono le campagne e abitano un territorio apparentemente urbanizzato ed in realtà contraddistinto dall’estetica del non finito, che incista la modernità dentro a contesti ancora molto antichi, non si capisce bene se per indolenza cronica o per cultura millenaria /
chissà che rabbia per qualcuno, sentir parlare in questo modo un forestiero, uno che viene da lontano / ma le sensazioni provate sono state così forti da non poterle frenare / quanto c’è di pregiudizio in questo?
ho cercato di partire dal territorio, dagli occhi, dall’esperienza personale / ho cercato ogni giorno di rimuovere tutto quanto appreso in precedenza in merito al sud ed agli sgradevoli luoghi comuni che tanti danno per scontati / … è un percorso plausibile?
ciò che tento di spiegare è leggermente diverso, è il senso di insicurezza e di disagio che sopraggiunge con il semplice atto del guardare, dal camminare attraverso le città e osservare le campagne costellate di ruderi e popolate di cani randagi – dall’ascolto diretto delle voci, dei racconti /
si tratta forse di paura della miseria o della diversità culturale?
sono rientrata davvero con sollievo al nord operoso e solo apparentemente immacolato?
io questo nord non l’ho mai difeso, nè comincio a difenderlo ora – ma sono spaventata da una società che non si espone e che non prende coscienza dei propri margini, degli errori e della condizione reale /
e questa italia così distante nelle sue diverse regioni, così vicendevolmente straniera e incondivisa, mi coglie impreparata / spostarsi sul territorio non è qualcosa di facile, non si tratta di uno svago, almeno per me – diventa impegno politico e risveglia la necessità di un dialogo più intenso ed aperto tra nord e sud
niente di folkloristico …