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ogni giorno, ancora per poche settimane, arrivo presto la mattina e attraverso campi strade e piazze di questa città stellare /
non sempre, ma capita che prenda il treno, ed allora una volta scesa, dalla stazione fiancheggio campi di grano e le pendenze soffici dei bastioni, imbocco la porta orientale e cammino per qualche centinaio di metri lungo le mura, sul retro di alcuni blocchi residenziali / la scuola sta in fondo, dopo l’ultima polveriera, seminascosta dalla vegetazione estiva /
altre volte capita di camminare fino alla piazza in cerca di un caffè, e di sedermi per qualche minuto a osservare la città che si sveglia e il sole radente che ancora non irrita lo sguardo /
la raggera delle strade conferisce allo spazio un’attitudine dispersiva, le altezze dissipate in una fuga ottica verso l’esterno che nemmeno la cerchia di mura riesce ad intralciare, e questa sensazione mi pare possieda virtù di sedazione, come se ogni cosa subisse una più o meno sensibile dilatazione, compreso il tempo /
tutto sembra più largo e spazioso, ma si percorre con sorprendente facilità, in un gioco di lenti invisibili che alterano le distanze /
lo spazio rado disperde le voci, i rumori, le musiche / le strade secondarie sono spesso deserte /
a mezzogiorno non ci sono ombre, le cimase esigue proiettano giusto una fascia sottile di scuro che nemmeno sfiora le ultime finestre, là in alto / ed allora ogni cosa si dilata al suo massimo in un miracolo lenticolare …

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010-07-2010
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la città /
conegliano è una città impostata su piacevoli dislivelli con un centro storico antico e prezioso
uno strano modo di affrontare le pendenze: i portici si affacciano su piani inclinati, così la strada assume l’aspetto vago di un canale senz’acqua, forse di memoria veneziana

in mostra /
ho apprezzato soprattutto le figure al margine, quelle che fanno da cornice alle icone religiose, più umane e vere, rispetto a madonne e cristi un po’ troppo rigidi e didascalici
(un confronto troppo fragile con le morbidezze armoniose di raffaello)
in particolare, san tommaso incredulo ha colpito la mia attenzione: i suoi capelli spettinati, la barba sfilacciata, l’espressione in bilico, tesa e perfino commovente nella sua imperfetta verità

il mercato /
ogni venerdì a conegliano un mercato grandissimo invade strade scalinate e piazze
dopo la mostra mi son seduta sotto i portici del municipio in un piccolo caffè, mentre i commercianti sbaraccavano i loro banchetti
tutto pulito, ordinato, senza stranieri – tipica cittadina borghese ed efficiente di centro-destra
persino i muri scalcinati sembrano parte di una coreografia borghese
chissà perchè, mi viene in mente la parola epurazione …

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l’ultima foto, scattata in una piccola chiesa lungo il corso
sgranata, perchè all’interno era molto scuro – pardon

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una presenza poco appariscente – di ascendenza veneziana
ci passi a lato ogni giorno e non ti accorgi di niente
c’è perfino un grande squarcio nella rete e i ragazzi entrano a giocare

i fiori invece stavano all’uscita della stazione

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(parole: màrio cesariny)

decido di non muovermi, di lasciarmi trasportare

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mentre vado verso il caffè, la piazza rivela alcune bancarelle quasi soffocate dal bianco
in un mucchio di vecchi stracci ho scovato un soprabito blu di gabardina e una camicia celeste
le cose – vissute da altri, toccate da altri, sporcate da altri – mi chiamano con più forza

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poi essere così
essere come quella casa lì
con le pareti sostituite da lievi azzurri fogli di plastica che si gonfiano di correnti d’aria,
teli fermati in modo perentorio e drammatico da vecchie assi assemblate stocasticamente
che sconvolgimento, essere così!
plastica legno vecchi intonaci – travi a vista puntelli e calcinacci
intorno una lamiera che già comincia a imbrunire di ruggine e segnalatori catarifrangenti
una casa priva di sé, che conserva i contorni e le aderenze della memoria
essere così – squarciata ed esposta
malamente suturata, slabbrata, accerchiata
un vuoto urbano – pieno zeppo di dettagli

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la città è una stella
ci si arriva dopo aver viaggiato in una campagna gonfia di erba nuova

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un paese e un’epoca che non rispettano il lavoro dei bravi architetti
(nemmeno li riconoscono – preferiscono in genere affidarsi a qualche vago professionista privo di talento)
amano l’opera pacchiana e vistosa, la modernità vetusta e ridicolmente esibita
amano il paesaggio patetico ma non ne sono consapevoli
pensano di coprirsi di gloria e invece ci ricoprono di merda

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diario / i laboratori accesi risaltavano nel buio, come astronavi abbandonate

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il flop della maddalena / oltre che brutti, anche inutili