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« Tutto ciò che fa gli sembra straordinariamente nuovo, ma anche in corrispondenza a questa impossibile abbondanza di novità, straordinariamente dilettantesco, forse nemmeno sopportabile, incapace di diventare storico spezzando la catena delle generazioni, interrompendo per la prima volta fino in tutti gli abissi la musica del mondo che finora si poteva almeno intuire. Talvolta nella sua superbia è più in pensiero per il mondo che per sé»
FRANZ KAFKA
[confessioni e diari – traduzione di salvatore quasimodo].

succede – dentro a certi libri
fuori dai libri la primavera trabocca di iniquità – e tragedie

( non si dovrebbe dire as usual )




seconda parte

mangiato: molta uva
ascoltato: steve reich
visto: il pranzo di babette

 

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ancora kafka
e per cena insalata di arance con olive piccanti

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[ now you’re flying with me
we can take it easy for a while
cruising far above the clouds
all I want to do is see you smile
]

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… nostalgia








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è ancora inverno però le giornate si fanno progressivamente più lunghe e luminose – ma l’appartamento, indifferente al transitare delle stagioni, conserva un’aura gelida, come un brivido sotterraneo

un coacervo di tracce
le permanenze materiali sfottono il disintegrarsi recente delle relazioni umane

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per dar sfogo all’irrequietezza sto facendo ordine tra i libri
il risultato (spero transitorio) è un maggior senso di disorientamento e confusione – gli scaffali mi sono improvvisamente estranei,  il che provoca un panico lieve che cerco di evitare rivolgendo le spalle alla libreria e provando a concentrarmi sul monitor …

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poi ascolto musica – varie ore ogni giorno
unica azione che (forse) mi distoglie dall’accidia

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kafka nel blog

i diari di kafka sempre nella borsa (anche a fare la spesa)

rivolgere la propria attenzione più in alto, oltre la propria misura individuale, sembra essere un’impresa che supera di molto le mie forze attuali / ogni pensiero cesella una qualche frivola minuzia personale, oppure si arrovella nella formulazione nostalgica di scenari impossibili, crogiolandosi nel dolore singolare della distanza e della perdita
non si tratta di immaginazione
non sono nemmeno scenografie, solo riproduzioni indefesse dell’impossibile

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alla fine – alla fine era un virus
ora il computer è tornato (quasi) a posto
una specie di ristrutturazione

(400 pixel potrebbe essere la misura ottimale)

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I

scrivere in terza persona conferiva un’aura romanzata al racconto e rappresentava una degenerazione narcisa, una debolezza che non la portava oltre e che anzi la infangava ancor più nei suoi vizi personali

II

il computer si era rotto
al pensiero di questo guaio non provava l’apprensione di un tempo e rimaneva passiva, seduta di fronte al vecchio portatile in balìa di una misera stecca di ram ormai fuori produzione – la macchina vetusta ignorava la parola gigabyte, era provvista dei requisiti minimi di sopravvivenza e le consentiva di rimanere in contatto con il mondo quel tanto che bastava, scaricare i messaggi e leggere i commenti recenti sulle sue pagine

pensava ai file, alle parole ed ai lavori digitali, alle musiche – i materiali del suo quotidiano abbandonati a se stessi su un disco attualmente inutilizzabile e che forse non avrebbe più ripreso a funzionare

III

aveva freddo e sonno e si sentiva sola
immaginava la città fuori come una steppa desolata immersa nel buio, dove si incrociavano solo poche vite, di tanto in tanto – sporadiche presenze con cui era possibile una minima interazione, un respiro vagamente condiviso
la maggior parte delle persone facevano per lei parte del paesaggio inanimato, anche se tale considerazione dell’esterno non implicava una scarsa considerazione delle loro qualità, solo una totale estraneità al suo mondo, una incompatibilità radicale con la sua visione esistenziale

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