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così ho pensato il mio contributo al progetto inedite: un contributo politico
sin dall’inizio l’idea di collaborare a una rivista con un progetto editoriale tradizionale mi interessava poco, e tra le varie cose mi era uscita l’idea di fare dei workshop, di mettere in piedi progetti al posto di realizzare articoli
luca ha detto: facciamo una rivista dove ogni numero è frutto di un workshop – perfetto

non amo la fretta, mi piace che le cose prendano corpo con la giusta lentezza
se si respira troppo veloci si va in iperventilazione ed è quello che sta succedendo al trio in-èdite /
personalmente avverto il bisogno di chiarire molti punti ancora oscuri, e definire il senso di questa operazione che vorrei sociale prima ancora che editoriale
per gli interlocutori le idee che ho messo in gioco sono probabilmente troppo politiche e questo mi fa pensare che sarà difficile che vengano tenute in considerazione con il loro autentico scopo / ma non mi importa che siano solo mie, che abbiano un copyright, per cui ho deciso di trascriverle man mano su questo blog, che in fondo è il taccuino della mia vita recente / mi interessa che le idee – qui o altrove – diventino spunto per un progetto, ma che sia un progetto più vicino a pollini che suona ai cantieri navali di genova che a un colorato laboratorio universitario di creativi intenti a mettere in piedi strutture e plastici che dei ruoli sociali non tengono conto che in maniera lontana ed astratta

mi piace l’idea che i ruoli sociali si tocchino, si confrontino, si annusino
mi piacerebbe che i workshop vedessero protagoniste le persone, e non squadre di professionisti patinati intenti a tracciare grafici che nessuno al di fuori degli addetti di categoria sarà in grado di leggere e non mi sento attratta da un ambito di lavoro editoriale dove l’architettura costituisca l’intelaiatura portante
i problemi attuali delle città dipendono in parte dalla cattiva progettazione ma molto anche dal fatto che è difficile mettere insieme logiche di intervento destinate a una società che i professionisti di fatto non conoscono a sufficienza: complessa, atomizzata, che parla tante lingue e mangia cose diverse
la mia parte politica vorrebbe fortemente che questi laboratori (meglio laboratorio di workshop) fossero destinati al coinvolgimento di quartiere, all’indagine sociale all’interno delle scuole, a tracciare un quadro della vita nelle poche fabbriche rimaste in italia, a provare a vedere se esiste ancora l’artigianato e come si colloca nel contesto produttivo
immagino sarebbe giusto dedicare alcuni numeri ai bambini, altri agli universitari, altri ancora alle donne che lavorano in casa, sia come casalinghe che come operaie trasparenti e delocalizzate

sulla base di esperienze passate (da linch a max frisch) l’intervista e il questionario sono secondo me l’ipotesi più plausibile di strumento di lavoro, la più economica e comprensibile, per avviare il processo di definizione di un possibile progetto, dato che al momento nessuno ha ancora le idee chiare in merito al fatto che questi laboratori dovrebbero essere destinati a qualcuno e trovare quindi una loro condizione di necessità, di determinazione culturale ma soprattutto sociale

data l’attuale indeterminatezza del progetto, la mia proposta è quella di realizzare un numero zero in cui vengono poste una serie di domande a diversi attori privilegiati in merito alla sua possibile strutturazione: editori, professionisti, persone che hanno svolto attività di coordinamento, rappresentanti di gruppi sociali, ma anche esponenti della cultura e del lavoro (penso a renzo piano ed alle sue ormai lontane esperienze di progettazione partecipata, penso a franco la cecla,  a don gallo ed altri che hanno destinato i loro sforzi a progetti collettivi ed allo studio delle forme comunitarie, senza ottenere altrettanta risonanza e fama)

insomma, non è facile far decollare un’idea, trovarle una forma, uno scopo, un senso
ci si prova, a volte ci si annega, a volte no

[continua ?]