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charlotte perriand2

(charlotte perriand / 1930 ca.)

 

di[F]ferite


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una storia tra tante – forse vera, forse no

è un dato di fatto che siano poche (rispetto agli uomini) le donne che capiscono di jazz – e in genere, se le trovi ai concerti, è perché accompagnano non sempre di buon grado mariti o fidanzati
e se una donna si siede da sola in prima fila a un concerto di free le ragioni possono essere sostanzialmente due: ama il jazz oppure è la fidanzata di qualcuno sul palco

lei aveva la sottile -e forse impercettibile per i più ingenui- sicumera di chi accompagna in posizione privilegiata uno dei protagonisti della situazione
alta magra e piuttosto bella, con una fotografica compatta in mano e grosse collane, alla fine del primo concerto ha cambiato posizione defilandosi, perché probabilmente di fotografare parker o mcphee non le importava granchè

a chiusura di serata l’ho vista attraversare il corridoio a fianco del batterista (bravo e piuttosto fascinoso anche lui) – statuaria e indifferente, bella e torbidamente senza luce

viva il jazz


oggi ed ogni giorno
alle donne

a mia madre

ogni qual volta incrocio una donna che per qualche ragione suscita la mia insofferenza o un certo fastidio per via di un particolare comportamento, un atteggiamento o un modo di presentarsi, tendo a rimproverare me stessa, dicendomi che dovrei essere più solidale e prendere maggiormente le difese di chi appartiene al mio stesso genere, così spesso maltrattato e strumentalizzato

oggi arrivando in stazione ho messo sommariamente a fuoco una macchia umana piuttosto ingombrante e vistosa, un contrasto spiazzante di bianco fluorescente e marron castagna / avvicinandomi ho potuto vedere che si trattava di una ragazza s-vestita di bianco, pantaloni molto aderenti e un reggiseno di maglina che coprivano succintamente (e scomodamente, visto che era tutta un contorcersi a tirare e sollevare lembi e fascie) un corpo color cuoio, iper-abbronzato e costellato di piercing / su tutto troneggiava come un vistoso ciuffo di panna montata, una capigliatura grossolanamente ossigenata

mi sono ripetuta nuovamente: non essere troppo bacchettona, sii solidale con lei, e soprattutto: TOLLERANTE!
… merita davvero la mia tolleranza una donna che per farsi notare espone la sua “carne” come sul banco di un macellaio, per di più studiando a tavolino le strategie più pacchiane per raggiungere la massima visibilità? è questa che vogliamo chiamare emancipazione e libertà di espressione?
libertà di cosa, se ancora sentiamo il bisogno di esisbire la nostra “mercanzia” come si trattasse di un triste e volgare commercio? qual è il limite ambiguo tra essere libere di mostrare e mostrare per essere viste e considerate degne di attenzione? quale il confine tra libertà oggettiva e oggettuale?
siamo andate avanti oppure compiamo quotidianamente grandi patetici sforzi per rimanere indietro, ancora soggette alle più tristi regole non scritte del desiderio e dell’approvazione maschile di bassa lega, che ci vorrebbe il più svestite possibile e con molti attributi da consumare? (ma potremmo citare una serie quasi infinita di stereotipi maschili di cui subiamo l’influenza, alcuni all’apparenza perfino nobilitanti o gradevoli)

osservare quella ragazza mi fa capire che ancor oggi tralasciamo di pensare a quello che ci piace per concentrarci su quello che piace ad altri, realizzando le aspettative maschili ben prima delle nostre / peggio ancora, molte di noi smarrirscono il proprio gusto personale dentro una pozza di condizionamenti di cui ancora non ci siamo liberate, pregiudizi che continuano a imporci più o meno evidenti e grotteschi travestimenti, senza permetterci l’autentica libertà di tra-vestirci come di svestirci

cosa posso fare per cambiare la situazione? qual è il giusto atteggiamento di una donna nei confronti di un’altra donna che forse possiede meno anticorpi e si adegua inconsapevole a un mondo costruito intorno al desiderio maschile?

sono stanca, voglio rendere il mio corpo sottile e trasparente, voglio essere tutta occhi e intelligenza, cristallizzarmi in forma di un’idea; dalla mia immaterialità comincia una forma di riscatto della mia persona, della mia fragile vita tra uomini arroganti, osservando a distanza donne di cui non riesco a prendere le difese

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