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Non c’è nessun «dopoguerra».
Gli stolti chiamavano «pace» il semplice allontanarsi del fronte.
Gli stolti difendevano la pace sostenendo il braccio armato del denaro.
Oltre la prima duna gli scontri proseguivano. Zanne di animali chimerici affondate nelle carni, il Cielo pieno d’acciaio e fumi, intere culture estirpate dalla Terra.
Gli stolti combattevano i nemici di oggi foraggiando quelli di domani.
Gli stolti gonfiavano il petto, parlavano di «libertà», «democrazia», «qui da noi», mangiando i frutti di razzie e saccheggi.
Difendevano la civiltà da ombre cinesi di dinosauri.
Difendevano il pianeta da simulacri di asteroidi.
Difendevano l’ombra cinese di una civiltà.
Difendevano un simulacro di pianeta.
WU MING

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young people (ˈjanɡ ‘pi:pl) = anodinía e capacità di accomodarsi senza rimpianti negli spazi dell’immutabilità / musiche impeccabili e irrilevanti, che nulla aggiungono e nulla tolgono, regalano momenti piacevoli conlusi in sé stessi e privi di qualsiasi forma di interrogazione o fermentazione / la tentazione è quella di ricorrere all’attributo di frigidità.
dunque non più frammento e modulazione personale, giammai dissonanza, piuttosto citazione continua e perfettamente mascherata, amalgama impersonale e pressochè imperscrutabile di elementi del passato che procura un prodotto opaco, indistinguibile dall’ex novo e privo di evidenti chiavi di lettura storiche / non autentica originalità ma personalità in provetta, opera postmoderna nonostante il tempo trascorso, dove però la giustapposizione ha ceduto il posto all’amalgama degli elementi / morte della trasparenza – latitanza dello stile

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un siffatto processo di dissoluzione e rimescolamento può – per alcuni e in certi casi – costituire presupposto di modernità e rappresentare un tratto evolutivo, di costruzione?

…spezzare tutti i falsi legami gerarchici tra le cose e le idee, distruggere tutti gli strati ideali divisori tra di loro. È necessario liberare tutte le cose, permettere loro di entrare in libere unioni, proprie della loro natura, per quanto bizzarre queste unioni sembrino dal punto di vista dei legami tradizionali consueti. È necessario dare alle cose la possibilità di stare in contatto nella loro viva corporeità e nella loro varietà qualitativa. È necessario creare tra le cose e le idee nuovi vicinati che rispondano alla loro effettiva natura, porre accanto e unire ciò che è stato fallacemente diviso e allontanato e disgiungere ciò che è stato fallacemente avvicinato.
M. Bachtin (cit. in new italian epic – WU MING)

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conseguenze di un quarantennio di messaggi inneggianti a una concezione sospesa, edonista e indifferente del mondo (costruzione programmatica di un sistema basato sul commercio della superficie), che non conosce un prima (o più probabilmente ne disconosce la sostanza, salvandone la forma e gli stilemi) e conserva l’adesso quale proiezione confortante di un dopo che non si arruga e non arrugginisce / tale ambito sospeso é luogo ideale dell’inneffabile sofisticato e mai gratuito cui spesso aspirano anche i migliori giovani occidentali, quelli più istruiti e affinati / la loro capacità di individuare lo stato di equilibrio ottimale é sorprendente: sono saggi – e ottusi, non si addentrano nei territori dell’incerto e i loro dubbi agglutinati-disciplinati orbitano saldi abbracciando la sfera del pragma / del resto, domande sensatamente concrete pretendono risposte puntuali e circostanziate

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piu distintamente, ma non meno fondamentalmente di ogni merce, la Jeune-Fille costituisce un dispositivo di neutralizzazione offensiva.

prendete la vita dal lato giusto, visto che la storia va nel senso sbagliato.

sin dall’origine, l’assoluto dei rapporti è stato pervertito e, in una società mercantile, vi è certamente commercio tra gli esseri ma non vi è mai una ‘comunità autentica’, mai una conoscenza che sia di più di uno scambio di ‘buone maniere’, anche se portate all’estremo del concepibile
TIQQUN

[cronache da una città poco ospitale]



conosco le zone aperte di questa città, le sue strade, le piazze, molte estensioni dello spazio urbano ai piani terra per la necessità quotidiana di entrare nei negozi / rare volte mi addentro nei palazzi per accedere ad uffici posti a piani più alti, oppure è capitato in certe scuole, in biblioteca od al cinema /
ma non conosco che marginalmente la città residenziale ed i suoi spazi privati, nonostante viva qui da circa otto anni / gli udinesi si tengono stretta la privacy, non aprono i loro manieri con facilità e naturalezza / è una società urbana di provincia, cortese quanto stitica, che non ama mescolarsi /

pensando a venezia per esempio, posso dire di aver salito molte scale e visitato moltissimi appartamenti, di conoscere le calli ma anche le cucine e i salotti della città, le sue tende, la vista sullo spazio esterno che si ottiene sbirciando dalle diverse finestre / in tal modo la città vissuta sviluppa un negativo e un positivo spaziale, la sua volumetria si fa più completa e complessa / se invece dovessi realizzare un calco degli spazi che vivo adesso, sarebbe un calco di spazi aperti e piani terra, un calco che include centri commerciali e stazioni – ma senza scale di condominio o significativi sviluppi nel privato / risulta di fatto un calco muto, a temperatura ambiente / privo di memorie individuali condivise, si ferma all’imbocco dei pianerottoli residenziali

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(altro…)

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oggi mi sono svegliata con la netta percezione di quanto sia disperata e senza sbocco la lotta per la scuola / una lotta di pochi di fronte a un’enorme massa indifferente di persone che considerano rumore le nostre proteste e che non ne capiscono il senso, che vogliono per i loro figli solo un pezzo di carta, possibilmente ottenuto con il minimo sforzo
la parola cultura è una reminescenza inutile del vocabolario, un ramo secco che si conserva per ricordo – una cosa morta, senza spirito
persino i creativi ormai propongono nella stragrande maggioranza dei casi un bello viziato, perseguono un’estetica masturbatoria e priva di energia, che induce all’incoscienza, a una forma apolitica di oblio
si tratta di un intimismo fuori luogo e fuori tempo, di fronte a quello che succede nel nostro paese e nel mondo, sbocchi formali più vicini a una moda che a un moto autenticamente culturale / tali manifestazioni sono il risultato del fatale connubio tra tecnologia e tendenze modaiole più che di invenzione e sacrificio / gesti spogliati di ogni valenza processuale e di ogni intenzione costruttiva, moltiplicati all’infinito / apoteosi esponenziale del bello gratuito

cosa impariamo da queste nuove forme di espressione?
cosa cambia in noi di fronte a tanta piacevolezza?
temo che la maggior parte sia contenta di rifugiarsi in tiepide nicchie (verbali o iconografiche non importa) in cui è possibile e plausibile evitare di prendere posizione, nicchie accondiscendenti, generaliste e di largo consumo
proprio come un bel vestito, queste manifestazioni creative non procurano alcuno scarto del pensiero, nessun ribaltamento del senso comune, soprattutto nessun collegamento attivo con il mondo – ci spingono piuttosto a impiegare il nostro tempo per perfezionare individualmente dettagli formali della nostra vita (guardaroba, arredamento, gastronomia)
in una lettera ieri l’ho chiamato qualunquismo estetico
lo stesso che ci tiene lontani dalla comprensione dei valori perduti nel corso dell’ultimo ventennio e che ad esempio provoca un pietoso assenteismo nella protesta per salvaguardare la scuola / i precari sono antiestetici e sfigati, decisamente fuori moda, non vanno bene nemmeno per il modernariato – i professori poi (quantomeno quelli della scuola primaria e secondaria) fanno parte di una categoria ancor meno autorevole, gente fallita che non avrà mai successo nella vita, che non trarrà ricchezza materiale dal proprio lavoro e che dovrà cedere perennemente al compromesso antiestetico dell’istruzione italiana: arredi di second’ordine, libri impaginati tristemente, scenari mediocri da lasciare nell’ombra

tutto è talmente correlato, un processo di disintegrazione culturale che pervade ogni strato e che ha preso corpo a partire dal dopoguerra, con l’insinuarsi di una cultura dei beni materiali e dell’apparenza che è andata a scalzare la cultura con la c maiuscola, quella di talenti autentici che dedicavano al sapere e alla ricerca l’intera vita, talenti senza fronzoli
(attualmente ci restano solo i fronzoli)

nemmeno esprimersi decorosamente ed efficacemente nella propria lingua rappresenta ormai un problema: in fondo non ci sono poi cose tanto complesse da dire – sono sufficienti comunicazioni pratiche, al massimo gli insulti e i versi per la partita allo stadio o per sbeffeggiare gli stranieri /
per rutti e scorregge non servono diploma o dizionario

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mi sento fragile

udine – scuola media – 2008 (foto tracciamenti)

new york times about the european human rights court decision

stefano rodotà su repubblica

don milani

natalia ginzburg