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marija-strajnic

quella scrittura mi ricorda certe scritte sui muri fatte con lo spray, che simulano le parole producendo al contrario grafemi senza senso, puramente decorativi / non andiamo a cercare di capire quei linguaggi: li si guarda piuttosto come fossero una greca fine a sè stessa, un modo tra tanti di ribadire la presenza e forse di esprimere un’abilità da amanuensi effimeri, da calligrafi del vuoto

ma sul web non esiste calligrafia perchè viene delegata ai font – ed allora ecco che il senso stesso del discorso si trasforma in flusso emotivo e indecifrabile, in merletto fonemico astratto e delicato / l’assenza di comprensibilità è data forse dal fatto che l’autore non si preoccupa di chi legge in termini di costruzione, non percepisce lo scrivere pubblico come qualcosa di etico e responsabilizzante, bensì come un gioco infantile, o piuttosto quale elemento mondano, decorativo e soprattutto effimero, destinato a polverizzarsi velocemente

[ questo, in contraddizione con l’atto stesso di coagulare pensieri in forma di parole, vorrebbe forse scardinare definitivamente il ruolo stabilizzante della scrittura ]

il discorso viene smaltito rapidamente, come un aperitivo o i finger-food di un happy hour

è una scrittura che tratta il dentro come se fosse un fuori e viceversa, scompaginando le gerarchie – apolitica, atopica, commerciale senza commercio, modaiola – unisce il sacro e il profano, la qualità con il mediocre formale ed estetico, come le riviste di moda e design (ambiti ormai irrimediabilmente compromessi dal loro connubio di dubbio gusto) ci impongono di fare già da molto tempo, per nascondere il fatto che non sono in grado di offrire ai consumatori-non-più-lettori prodotti innovativi che possiedano uno stile atrettanto importante di quello dei grandi maestri di altri tempi
in tutto questo è scrittura contemporanea

accompagnano tali tracciati verbali incondivisibili (se non forse da un ambito geo-generazionale ben preciso e limitato), serie di immagini precarie, vacue e monotone, che propongono per lo più scenari adolescenti – sono foto esotiche da fashion magazine alternativo, spesso ambientate in paesi che con fortunoso ritardo hanno perso le loro radici entrando in contatto asincopato con il sistema commerciale dell’occidente, perversamente soverchio / i soggetti delle foto sfoggiano diligentemente un degageè apparente composto di indumenti intimi e corna di cervo, dentro polaroid o immagini romanticamente trasandate cariche di tutte le gradazioni di una naturalezza ancora acerba, mimando infantilmente quello che da anni si pubblica sui fotolog giovanili di tutto il mondo (e che bruce weber proponeva qualche decennio addietro), ma contaminando quelle immagini con una naivetè esotica conferita dall’estetica in dismissione di paesi che finalmente si accingono ad adottare la stessa mediocrità culturale che qui da noi ha già imbevuto ogni angolo di ogni nostra città /

[ nessuna politica, solo l’adozione innocente ed istantanea quanto irreversibile del formalismo dilagante / fotografie dell’inizio della fine – dismissione della cultura dell’estetica e perdita della speranza ]

questo mi interessa di quelle immagini e questo mi dice la scrittura: che in fondo si vuole perdere la bellezza annacquandola in un halloween party o in un aperitivo bevuto in compagnia di qualche architetto trendy, o dentro a qualche circolo che si definisce alternativo (alternativo a cosa? ), commentando fotografie che sono riproduzioni di un’innocenza simulata, di una semplicità in provetta dove perfino lo sporco è inodore e fa parte del gioco, tenuto a debita distanza

dov’è la costruzione in tutto questo – dov’è il sapore autentico e impreciso delle cose? dov’è il futuro e quale la sua forma? dove sono i fatti (anche quelli culturali o para-culturali) che definiscono il mondo presente nella sua concretezza, e dove sono gli spiragli estetici che potrebbero renderlo differente?
questa scrittura del nulla sembra voler parlare senza esprimere, forse nella convinzione che nell’effimero del dire senza pensiero sia ascritto lo spirito del presente
(- ed in effetti potrebbe essere vero)

credo invece che il presente possieda la sua sostanza, e che sia spesso una sostanza cruda, priva di un’estetica gratificante o strutturata formalmente / molte persone portano avanti impegni e progetti concreti, innovativi e necessari, che difficilmente si troverebbero a loro agio su certi blog o sulle riviste di architettura e design, perché privi di appeal commerciale e soprattutto di edonismo /
ma abbiamo capito che le riviste di architettura e di tendenza non vedono l’ora di trovare il modo per rendere anche quei progetti parte del meccanismo della cultura mondana, di accaparrarsi qualche minuto di attenzione dei loro lettori attraverso una strategia che fagocita qualsiasi realtà tentando di ricondurla almeno per qualche istante a un livello mediatico privo di profondità e di odore
nel frattempo, le persone rali continuano a puzzare, a sudare, ed a fare i conti con la fine del mese – le persone normali non hanno i soldi per entrare in certi negozi di design, anzi, non si pongono nemmeno il problema e probabilmente in quei negozi non comprerebbero quasi niente, perché sono abituate ai banchetti dei cinesi o all’oviesse (oppure quando possono ai centri commerciali ed alle griffes più ridondanti) / e quando dicono qualcosa vorrebbero essere capite, le persone normali

di tutto questo molte riviste e blog che presumono di proporre cultura non si occupano mai: sono argomenti che non generano profitto e che non fanno tendenza, perfino noiosi
ci vediamo al prossimo aperitivo, oppure a un party

 

 

 

nel corso degli anni varie riviste od altre iniziative editoriali italiane mi hanno contattata per chiedermi di pubblicare i miei lavori, o di utilizzarli in svariati modi all’interno di qualche pubblicazione / nessuno di loro si è mai posto la questione del pagamento: ti mandiamo qualche copia, dicevano al massimo, oppure nemmeno sollevavano la questione /
all’inizio accettavo perché mi sembrava lusinghiero il fatto che l’editoria si interessasse di quanto avevo realizzato, inoltre veder stampate le proprie cose è (quasi) sempre una soddisfazione / a un certo punto però, grazie alla diffusione transnazionale operata dalla rete, hanno comiciato a contattarmi anche società straniere, ed allora mi sono resa conto che quando le case editrici degli altri paesi richiedono qualcosa di tuo (non parliamo di editoria indipendente a budget zero o di webzine senza introiti pubblicitari), viene sempre offerto un corrispettivo in termini finanziari / si tratta di una considerazione diversa del lavoro creativo e della fatica spesa nella realizzazione delle opere, che qui da noi non trova la giusta considerazione (contando soprattutto sul fatto che, visti i tempi, se tu non vuoi darmi qualcosa da pubblicare gratis trovo qualcun altro che lo fa, pur di veder stampare il suo lavoro e poterlo inserire in un curriculum) / lo stesso vale per altre opere di ingegno, per la scrittura, ad esempio, o per la musica; come se il tempo che uno dedica a realizzare un articolo od a scrivere e suonare le proprie canzoni fosse ininfluente / è vero che molte iniziative culturali non ricevono sufficienti fondi ma in italia la scarsità di mezzi e la mancanza di etica nei confronti del lavoro creativo (e non solo di quello) non sono necessariamente due fenomeni correlati, e la giusta retribuzione di un lavoro non viene quasi mai considerata come un dovere morale da parte del cliente o di chi commissiona una qualsiasi opera /
ma la verità è che sono io a dover decidere se e quando lavorare gratis, e non me lo devono imporre o chiedere gli altri! e coloro che accettano per debolezza, senza pretendere quanto gli spetta, non fanno altro che screditare le diverse categorie preofessionali, facendo sì che sempre più committenti si sentano autorizzati a una svalutazione finanziaria del lavoro altrui, legittimando tariffe infime o persino le prestazioni gratuite /
svegliatevi italiani, è ora di pretendere di abitare un paese civile!

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