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GIANCARLO ILIPRANDI

RIFIUTIAMO LA CIVILTÀ SE QUESTA È CIVILTÀ. QUESTA NELLA QUALE CI SIAMO TROVATI INSERITI O ADDIRITTURA INTEGRATI, COME VI ACCUSANO DI ESSERE; QUESTA CIVILTÀ DELLE ACQUE TORBIDE E DELL’ATMOSFERA FUMOGENA, DEL SESSO STAMPATO E DELLA SCUOLA IGNORANTE, DEL VERDE SMORTO E DELL’OGGETTO REGALO, DELLA FAME ENDEMICA E DEL RUMORE GLORIFICATO, DELLA VIOLENZA COME SOLUZIONE E DELLA TENEREZZA COME POVERTÀ. UN GRANDE RIFIUTO CHE SIA UNA GRANDE UTOPIA, OFFERTA COME UNICA SOLUZIONE MENTALE DALLA CARENZA DELLE SOLUZIONI OPERATIVE, UNO SFORZO DI IMMAGINAZIONE DOPO IL QUALE RIADAGIARCI, ESAUSTI, NELLE PIÙ CONCRETE COMMITTENZE DI LAVORO CHE CI RIPORTERANNO AL PRESUNTO BENESSERE.


  1. cover
  2. ilio negri
 

«Tutti sappiamo- dice Danilo Dolci alle mamme di Partinico, nella prima pagina del suo nuovo libro – come è necessaria una scuola nuova.
Si potrebbe far crescere con le idee della gente, o senza le idee della gente. Siamo qui per domandarci quali sarebbero i consigli per questa scuola, come sognate una scuola per i bambini vostri, come la vorreste… ».

Le mamme, dapprima timide e disorientate, prendono via via coraggio a parlare, raramente interrotte da una domanda, dall’invito a precisare un concetto, da una sottolineatura.
Il Socrate che coordina il dialogo, lo pungola, lo alimenta discretamente di stimoli, non è il furbo stratega che guida i suoi Fedoni e Fedri e Critoni per una strada nota a lui solo, perché arrivino dove vuole lui: ha in mente una meta, la creazione di un nuovo centro educativo, ma non vuole precisarla senza il contributo «della gente»; ha esperienza e cultura, la sa ripartire alla pari con l’interlcutore più semplice, primo perché rispetta la sua esperienza e la cultura (magari analfabeta) di cui lo sa portatore, secondo perché pensa che la nuova istituzione avrà fondamenta più profonde se crescerà « con la gente » e farà crescere tutti coloro che ci lavoreranno.

6 luglio 1973
gianni rodari recensisce il libro di danilo dolci “chissà se i pesci piangono”
[continua qui]

sempre sul blog di giuseppe casarrubea: danilo dolci visto da carlo levi

a luglio dell’anno scorso mi esprimevo in merito alle modalità e le finalità del lavoro creativo e ripensandoci, credo che dovrei cercare di tener più presenti alcuni di tali principi / si tratta di una rieducazione delle nostre intelligenze all’invenzione non allineata e non sottomessa passivamente alle logiche di mercato ed ai formalismi innecessari che ne conseguono / i salotti sono stanchi e le gallerie sono conniventi: pertanto il lavoro culturale deve trovare altre strade, senza per questo dismettere la qualità in funzione di una superficiale divulgazione
soprattutto, dovrebbe essere condiviso e superare i confini adolescenziali e un po’ noiosi dell’ego (perchè è oramai fin troppo evidente come la condizione attuale dell’arte o di quel che ne ha preso il posto, faccia pensare a un limbo per eterni adolescenti …)

l’incitazione alla clandestinità si rende ogni giorno più necessaria

da una lettera 

ho guardato bene le persone in manifestazione l’altro giorno, persone che hanno rinunciato a una giornata di stipendio per qualcosa che riguarda tutti quanti – erano quasi tutte facce molto serie, non si trattava di esaltati che giocano alla rivoluzione / erano persone semplici, donne adulte e persino alla soglia della pensione, pensionati, famiglie, pochissimi giovani (e questo mi dispiace) e naturalmente nessun professionista o persone del mondo della cultura / ho percepito un’aria di isolamento, quasi di abbandono, in queste persone che continuano a rivendicare il diritto alla civiltà senza che coloro che hanno strumenti e maggiore visibilità contribuiscano – gli intellettuali e soprattutto i professionisti sono sempre assenti, quelli che sanno bene come usare le parole per fare i soldi, per esempio (ma qui non c’è niente di materiale da guadagnare, non nell’immediato, almeno) / latitano coloro che hanno familiarità con gli strumenti di comunicazione, che potrebbero anche contribuire significativamente a svecchiare la lotta ed a strutturare progetti di resistenza  (e si sa quanto ce ne sarebbe bisogno)
penso questo, e ogni volta che lo penso provo un’autentica tristezza, a vedere queste persone in corteo così serie e generose, che non ricevono attenzione concreta da quella che si dice la società civile e più benestante / l’attenzione che diciamo di dedicare loro è una farsa, è un cosmetico, un’ornamento – ma in verità è del tutto inefficace e serve solo a placare la nostra insulsa coscienza

 







 

ogni qual volta incrocio una donna che per qualche ragione suscita la mia insofferenza o un certo fastidio per via di un particolare comportamento, un atteggiamento o un modo di presentarsi, tendo a rimproverare me stessa, dicendomi che dovrei essere più solidale e prendere maggiormente le difese di chi appartiene al mio stesso genere, così spesso maltrattato e strumentalizzato

oggi arrivando in stazione ho messo sommariamente a fuoco una macchia umana piuttosto ingombrante e vistosa, un contrasto spiazzante di bianco fluorescente e marron castagna / avvicinandomi ho potuto vedere che si trattava di una ragazza s-vestita di bianco, pantaloni molto aderenti e un reggiseno di maglina che coprivano succintamente (e scomodamente, visto che era tutta un contorcersi a tirare e sollevare lembi e fascie) un corpo color cuoio, iper-abbronzato e costellato di piercing / su tutto troneggiava come un vistoso ciuffo di panna montata, una capigliatura grossolanamente ossigenata

mi sono ripetuta nuovamente: non essere troppo bacchettona, sii solidale con lei, e soprattutto: TOLLERANTE!
… merita davvero la mia tolleranza una donna che per farsi notare espone la sua “carne” come sul banco di un macellaio, per di più studiando a tavolino le strategie più pacchiane per raggiungere la massima visibilità? è questa che vogliamo chiamare emancipazione e libertà di espressione?
libertà di cosa, se ancora sentiamo il bisogno di esisbire la nostra “mercanzia” come si trattasse di un triste e volgare commercio? qual è il limite ambiguo tra essere libere di mostrare e mostrare per essere viste e considerate degne di attenzione? quale il confine tra libertà oggettiva e oggettuale?
siamo andate avanti oppure compiamo quotidianamente grandi patetici sforzi per rimanere indietro, ancora soggette alle più tristi regole non scritte del desiderio e dell’approvazione maschile di bassa lega, che ci vorrebbe il più svestite possibile e con molti attributi da consumare? (ma potremmo citare una serie quasi infinita di stereotipi maschili di cui subiamo l’influenza, alcuni all’apparenza perfino nobilitanti o gradevoli)

osservare quella ragazza mi fa capire che ancor oggi tralasciamo di pensare a quello che ci piace per concentrarci su quello che piace ad altri, realizzando le aspettative maschili ben prima delle nostre / peggio ancora, molte di noi smarrirscono il proprio gusto personale dentro una pozza di condizionamenti di cui ancora non ci siamo liberate, pregiudizi che continuano a imporci più o meno evidenti e grotteschi travestimenti, senza permetterci l’autentica libertà di tra-vestirci come di svestirci

cosa posso fare per cambiare la situazione? qual è il giusto atteggiamento di una donna nei confronti di un’altra donna che forse possiede meno anticorpi e si adegua inconsapevole a un mondo costruito intorno al desiderio maschile?

sono stanca, voglio rendere il mio corpo sottile e trasparente, voglio essere tutta occhi e intelligenza, cristallizzarmi in forma di un’idea; dalla mia immaterialità comincia una forma di riscatto della mia persona, della mia fragile vita tra uomini arroganti, osservando a distanza donne di cui non riesco a prendere le difese

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il giorno che raggiungemmo il quorum i giardini del paese erano pieni di gigli in fiore
era tutto un grondare polline di giglio e nel pomeriggio cominciò anche a piovigginare
la zia aveva preparato le polpette con gli avanzi del bollito
( riconosceva sul tavolo la vecchia mezzaluna della nonna, morta centenaria )

gli oggetti passavano di mano in mano, trasportando i gesti come appiccicati
( si chiedeva se fosse un’eredità pure questa italia sorprendente e unita,
se avesse qualche cosa in comune con i suoi ricordi di bambina
con le piazze gremite e con altri referendum )