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ieri sono stata al cinema per vedere urlo e sapevo sin da principio che non sarebbe stata una visione entusiasmante perché conosco ed amo troppo le strampalate e commoventi storie dei beatniks per potermi accontentare eppure, essendo il film diretto da due documentaristi, mi sarei aspettata qualcosa di meno televisivo e patinato il periodo beat fu contraddistinto da una forte inclinazione allo sperimentalismo frugale, quotidiano, dall’invenzione spicciola quanto ininterrotta e dalla difficile e inebriante rottura delle regole perbeniste dell’america postbellica tutto ciò arrivò da noi più tardi grazie al binomio pivano-feltrinelli e venne filtrato e idealizzato dal decoroso provincialismo italiano, mentre per farsi un’idea più obiettiva sull’estetica beatnik sarebbe piuttosto indicata la visione di pull my daisy di robert frank (1958) , per intendere quella particolare, meravigliosa, malinconica e sfuggente inconsistenza che contraddiceva l’ambiente beat: ciò che realmente manca nel film visto ieri e che difficilmente si può ottenere se non rinunciando alle finiture leccate ed alle postproduzioni maniacali infatti, se da un lato vige una rigorosa filologia, dall’altro il film la rinnega puntualmente per adattarsi ad esigenze di maggiore godibilità cinematografica, perdendo così fedeltà narrativa, profondità di campo e credibilità – non mi sarebbe dispiaciuta la scelta di accompagnare alcuni brani del poema con le sfolgoranti animazioni ispirate ad illuminated poems e mirabilmente disegnate dallo stesso eric drooker (ma integralmente realizzate in tailandia, ndr) se tali animazioni non fossero state così esplicitamente contemporanee, impeccabili e computerizzate – e mi sarei aspettata che il be-bop fosse la reale colonna sonora della storia, senza il ricorso accondiscendente a musiche di compromesso, più recenti e non contestuali inoltre suggerisco caldamente la visione in lingua originale, auspicandomi che le letture da ginsberg siano meno raccapriccianti [ come scritto sugli spietati a chiosa di un’ottima recensione: doppiaggio inopportuno fino al masochismo ] — :-) . |
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alcuni si perdono nel piccolo punto
generano oggetti sfiziosi perfettamente inutili
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le copertine non sono quasi mai alla (medesima) altezza del contenuto
vivono un’esistenza a parte, narcisisticamente sponsorizzate da grafici di successo
[ ok computer > una copertina un disco: nessuna distanza o frattura ]
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in genere dimentichiamo di dimenticarci
il mercato chiede la presenza fittizia e sterile del protagonismo
perché deluderlo?
pessimi artigiani ma di bell’aspetto / nessuna finestra – solo specchi
appendice / 1
eppure aspetti e aspetti ancora
perdoneresti qualunque cosa
seduti di fronte come da ragazzi
(essere giovani ci riesce particolarmente facile)
progettiamo una splendida fuga – trasversale
ciò che non si può dire ma si promette di fare
nel mai dei nostri occhi
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si stanno accumulando gli argomenti per una serie di post |
ne scrivono da varie parti, con rammarico e dispiacere c’è bisogno di questo? oppure il genio consiste nell’operare una rivoluzione che conduca ad altri livelli di conoscenza e soprattutto di consapevolezza? questa visione individuale così ben interpretata da mcqueen non ha caso si conclude con una morte altrettanto individuale, che nulla spartisce con il mondo e che nulla di sostanziale cambia del mondo e delle sue verità urgenti allora lo dico, qui adesso oggi – la parola lusso mi disgusta |
ieri leggevo su femminismo a sud una lettera dedicata al razzismo di quartiere, che tocca il tema del difficile rapporto con quegli amici o conoscenti che esprimono posizioni di intolleranza o idee politiche in contrasto con le nostre / di questi tempi mi capita spesso e non unicamente in merito al razzismo – forse mi cava dall’impiccio il solo fatto di non intrattenere ultimamente relazioni significative con chicchessia e dunque potermi concedere il lusso codardo dell’isolamento e della defezione silenziosa ma ho inteso ugualmente la sgradevole sensazione di osservare i nodi impresvisti e insospettabili che vengono al pettine – e per nodi intendo il passaggio a un livello successivo di conoscenza del prossimo conseguente alla propria esposizione, alla compromissione personale anche minima, come nel caso di offrire degli spiccioli con cortesia e com-passione a un immigrato che chiede la carità in un bar proprio per questa ragione ritengo che in simili casi operare ulteriori rotture sia di scarsa utilità – mi trovo a disagio e perplessa di fronte alle posizioni estreme (anche e soprattutto la mia, quando capita) e una voce interna mi dice che sarebbe meglio parlare, beneficiare fino in fondo dell’occasione preziosa rappresentata dall’amicizia o dalla vicinanza, vivere il proprio quartiere come fosse una casa e parlare, scambiare le idee, confonderle e difenderle – non credo che esista altro modo, rispetto al contesto descritto nella lettera / davvero difficile trovare altra via per la costruzione – ma sono certa che la rottura intransigente andrebbe a generare ulteriori barriere, ulteriori solitudini per esempio, pensare che anche i vecchi sono persone che vengono discriminate ogni giorno e capire le loro fragilità e le loro idosincrasie significa provare a comprendere e rispettare le delicate questioni di entrambe le parti in causa (o delle tante parti in causa) – ho visto spesso la diffidenza sciogliersi là dove la conoscenza reciproca ha permesso di dissolvere le nebbie dell’ignoranza
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due questioni:
- la giornata è composta/formata da frammenti
– tali frammenti sono (assolutamente) controversi
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c’è lo stramaledetto controllo estetico:
mai eccelso, mai abbastanza scarso da passare in secondo piano
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t.s. eliot – trad. roberto sanesi:
qualcuno al piano di sopra suona musica orribile a tutto volume
1 – haiti (piuttosto) mi sento di osservare come l’infamia dell’uomo si appoggi di volta in volta sulle più terribili tragedie per trarne un vergognoso profitto / la natura umana sorprende per l’istintiva bassezza di molti, un istinto irrecuperabile verso la sopraffazione e l’abuso 2 – leghisti 3 – classifiche |