Blog Archives

due cover rugginose di canzoni originariamente altrettanto aggressive e ruvide: dirt eseguita da neneh cherry & the thing duetta con seven nation army nella versione di nostalgia 77

enjoy the rust

  1. dust (iggy pop cover) – neneh cherry and the thing / da the cherry thing,  2012
  2. seven nation army (white stripes cover) – nostalgia 77 / da the garden, 2007


canzoni che si vogliono bene 4 

emerse dalle nicchie accoglienti ma non compiacenti del rock d’oltre manica d’annata, queste due canzoni si fanno decisamente l’occhietto, pur senza mai combaciare veramente / accomunate da un incipit quasi gemello che poi decolla in maniera disgiunta e da una propensione alla monotonia melodica che ne demistifica il romanticismo, le dividono quasi vent’anni di storia della musica / eppure ritengo che vi sia una sincera affinità, e persino la timbrica vocale dei due autori possiede qualcosa di comune, una temperatura leggermente stridula, acidula, che conferisce più verità alla dolcezza e più energia ai passaggi scanzonati  /

van morrison e robyn hitchcock:  due maestri  che hanno arricchito il pop di inconfondibili quanto personali sfumature, rendendo più sopportabile il passaggio dalla straordinaria creatività degli anni settanta a quel critico miscuglio postmoderno che sarebbe arrivato di lì a poco, alla fine degli ottanta, a contaminare forse definitivamente la musica, privandola come del resto altri campi della creatività, delle sue frange più epiche …

.

1 /
jackie wilson said
(I’m in heaven when you smile)
van morrison

(2,54 min.)

da saint dominc preview del 1972 (warner bros), il brano più significativo e travolgente dell’intero disco, omaggio al cantante e musicista soul statunitense jackie wilson (lonely teardrops!), scoperto a cavallo degli anni cinquanta dal grande johnny otis / … qui si apprezza quanto della migliore tradizione soul e rythm&blues il grande van the bang abbia saputo infondere alla sua musica, pur senza rinunciare alle radici irlandesi ed alle ballate della  giovinezza

2 /
certainly clickot –
robyn hitchcock

(2,15 min.)

brano destrutturato e dall’incalzante quanto sbarazzina monotonia tratto da uno dei dischi più convincenti del cantautore londinese (eye.1990.twin tone records – chitarra e voce) / definirlo menestrello, con la chitarra acustica fissa al collo e le sue camicie fantasia, non è poi così inopportuno, anche se qualcuno troverebbe forse riduttiva tale definizione / significativo il contributo a un filone di cantautorato britannico di nicchia che ha saputo preservare alcune prerogative e influenze della musica inglese (altrimenti i primi anni ottanta avrebbero rischiato di mettere tutto questo in congelatore e persino affogarlo in un lezioso edonismo darkeggiante post punk!), lascia ampio spazio a citazioni e venature che rieccheggiano alla migliore tradizione del rock surrealista e psichedelico sia britannico (tanto syd barrett) che americano (soprattutto dylan e lennon)
amore musicale di johnatan demme che a lui ha dedicato video, documentari e una discreta profusione di camei cinematografici

 




i due brani che ho scelto questa volta presentano una struttura complessiva piuttosto differente tra loro – allo stesso tempo la timbrica e la particolare attitudine percussiva ne suggeriscono la plausibile prossimità estetica e il potenziale affiatamento

ripropongo quindi un lavoro del 1982 di elliott sharp (peraltro già inserito in un post qualche settimana fa), che qui duetta con una composizione molto recente eseguita dal mary halvorson quintet

1
elliott sharp – hm3 (4,03 min.)

un brano convincente ed energetico da un disco (nots – 1982 – glass records) che esprime il lato tettonico e più sperimentale della musica degli anni ottanta / come sempre sharp non si può sottomettere alle de-limitazioni di categoria

2
mary halvorson quintet – sea seizure (5,25 min.)

da saturn sings del 2010 (firehouse 12) – uno dei dischi che prefersco in questo periodo / a mio parere il lavoro sinora più convincente della halvorson, che in quintetto trova un equilibrio formale non sempre così evidente nelle collaborazioni precedenti

 






è il turno di due canzoni che fanno l’occhietto al jazz e che vedono a confronto l’ensemble nostalgia 77 octet e i working week, trio newyorkese sparito dalle scene dopo un breve periodo di attività intorno ai primi anni 80 

evidenti le affinità nella struttura dei due brani così come nell’arrangiamento

 

1
chola (4,05 min. )

dall’ultimo disco dei nostalgia 77 octet, weapons of jazz destruction, pubblicato dalla britannica tru thoughts nel 2007

2
thought I never see you again (6,30 min.)

da working nights del 1985 – una delle mie canzoni preferite in assoluto, di quelle che trasportano con sè tanti ricordi (in questo caso soprattutto newyorkesi, del periodo in cui studiavo alla parson’s school) 
nota
: il disco contiene anche una strepitosa versione di inner city blues

.
.



inaugura una rubrica decisamente saltuaria dedicata a coppie di canzoni affini
oggi è il turno di due lunghi brani di rock psichedelico: 

1
s/word and leviathan (12 min. )

tratto dall’ultimo disco dei six organs of admittance, asleep on the floodplain

2
the wheel (16 min.)

celebre canzone dei motorpsycho da thimoty’s monster (lavoro del 1994 recentemente ripubblicato in gustoso cofanetto dalla rune grammofon)

enjoy

 




in questi giorni sto ascoltando un paio di uscite musicali recenti
l’ultimo di ribot (silent movies) e saturn singsdel mary halvorson quintetdi averli visti suonare insieme (lui e lei) mi ero dimenticata fino a che non ho sbirciato la fotografia della halvorson, perché questa ragazza prodigio altri non è se non la seconda chitarra nel quartetto che ha portato a udine l’ottima riedizione di sun shipcurata appunto da marc ribotquesti due dischi sono piuttosto diversi: l’eclettico chitarrista ex lounge lizards (conosciuto tra le altre cose anche per le numerose collaborazioni con john zorn) qui si presenta come elegante solista (vagamente antologico), mentre l’enfant prodige occhialuta della chitarra d’avanguardia (con quell’aria tutta sua da prima della classe) si cimenta in un lavoro sperimentale che rieccheggia con molto stile le atmosfere di coltrane e sun ra, ma anche bill dixon (r.i.p) e mazurek dopo di lui

eppure questi due lavori apparentemente distanti hanno un ritmo affine, una spina dorsale su cui poggiano strutture musicali affatto incompatibili – entrambi compatti ma al contempo variegati, eleganti, coerenti e di ottima misura – estremamente riconoscibile ribot, correttamente alla ricerca di un orizzonte silistico più evidente la halvorson, che qui riesce a superare un minimo disordine improvvisativo ancora presente nelle prove precedenti

  1. marc ribot  – delancey waltz
  2. mary halvorson quintet – right size too little

qui una recensione più seria di saturn sings

sono musiche che mi salvano dalla defaillance del gusto personale, solo apparentemente stemperato-si in quello di altri, ma che in realtà sperimenta la condivisione per un particolare gioco di coincidenze del tutto accidentale
niente di meglio che scegliere senza sapere di farlo, e poi riconoscere i parametri familiari di quello che avevamo già apprezzato e preferito in differenti circostanze
ribadire se stessi senza premeditazione …