c’erano altre foto sulla card, oltre a quelle della manifestazione di oggi
c’erano la nostalgia, la luce scarsa di un mattino uggioso, il grande buco di un caro amico recentemente scomparso

recentemente dura tanto tempo
la protesta invece, si è indebolita subito, con lo scendere del sole dietro i palazzi

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dire che non siamo danilo dolci e non siamo gandhi è solo un alibi per la non partecipazione a un processo di cambiamento comune e collettivo che il più delle volte non porta guadagni immediati in termini estetici, e che non è connesso con forme di creatività irregimentata (sempre basate su un margine più o meno consistente di edonismo: anche le nostre università traboccano di edonismo a molti livelli)

l’azione di denuncia individuale nel quartiere o nel paese, per quanto importante, non basta – quella a mio parere rappresenta la normalità, o dovrebbe essere così

c’è bisogno urgente di innescare processi pacifici di costruzione condivisa e di coinvolgimento, di offerta alla comunità della propria cultura e degli strumenti acquisiti / c’è bisogno di realizzare reti trans-locali, di individuare metodologie esportabili / c’è bisogno di metterci la faccia, di esporsi politicamente e di dismettere i panni mondani per indossare ruoli sociali

adriano olivetti, non steve jobs








 

… sorbo, ligustro o che altro?
era la mia ultima giornata di mare

ora rimane solo l’interminabile attesa di una precaria in offerta

fronte.retro

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ultimamente la testa va un po’ dove vuole e nei giorni scorsi tentavo di capire come ci si potrebbe muovere politicamente (mi riferisco a una politica di lotta, non inerente ai partiti) in questa italia così malandata, anche alla luce dell’esperienza piuttosto avvilente della mobilitazione di settembre indetta dalla fiom-cgil /

[ nel frattempo – ancor più deprimente – si son susseguite due giornate di scioperi della scuola, disgiunti, venerdì i cobas, sabato la cgil: …ma dove è finito il limite oltre il quale i lavoratori perdono la pazienza e smettono di farsi prendere in giro dai sindacati?? ]

come ho accennato in un articolo precedente, il progetto “inédite” mi ha offerto lo spunto per alcune riflessioni sulla penosa situazione del nostro paese, considerazioni che forse non troveranno uno sbocco puntuale nella realtà ma che vorrei contribuissero a un’analisi disinibita degli strumenti di lotta e rivendicazione attualmente a disposizione dei cittadini – si tratta di aspetti a tratti marcatamente idealistici, ma non per questo secondari, che potrebbero a mio parere indicarci alcune direzioni plausibili /

mi pare evidente che servono strumenti di lotta diversi, più radicali
lo sciopero di una giornata probabilmente non è adatto a questi periodi di grave crisi del pensiero e della condivisione, ed una delle insidie principali è proprio la sua inefficacia, che va a demotivare progressivamente anche gli strati in precedenza più partecipativi che non ne percepiscono l’utilità concreta e vivono il disagio di rinunciare a un introito prezioso senza che tale contributo personale e finanziario vada a incidere abbastanza significativamente sulla realtà dei fatti / personalmente, al momento mi sento abbastanza presa in giro dai sindacati e dalle loro ridicole e inefficaci contrattazioni e per quanto segua da vicino gli orientamenti della cgil non mi trovo del tutto d’accordo nemmeno con le loro politiche recenti /

al contrario, seguo dal suo inzio con entusiasmo e interesse l’occupazione del teatro valle in roma, che sta offrendo un esempio bellissimo di come si possa convertire un momento difficile in una preziosa esperienza collettiva di arricchimento, i cui valori di fatto prescindono dai risultati possibili, essendo in ogni caso costruttivi in termini di sensibilizzazione politica e culturale / qualunque sia o sarà il destino del teatro e dei suoi lavoratori, tutte le persone impegnate nell’occupazione avranno goduto durante questo periodo di una eccezionale occasione culturale, sociale e naturalmente politica e questo rende il progetto un investimento collettivo in sè stesso /

immagino che una delle scelte possibili in questo momento in italia (se ne son visti numerosi focolai già l’anno scorso) sia quella di riprendersi ciò che ci appartiene – riappropriarsi degli spazi e dei beni pubblici significativamente coinvolti da politiche sbagliate – quegli spazi e quei beni che il malgoverno in atto da moltissimi anni sta convertendo e rovinando progressivamente per costituire una realtà a proprio uso e consumo, a discapito di un paese dove la qualità della vita e delle istituzioni (le due cose son strettamente legate) peggiora irrimediabilmente /
per riagganciarmi a quanto scritto in merito al progetto “inédite”, c’è bisogno di creare una lotta permanente e non di scioperare qualche ora o scendere in piazza una giornata per poi tornare alla propria vita di sempre / c’è bisogno di ribadire fisicamente il diritto a godere dei beni pubblici, piantonandoli al fine di evitarne la morte e la dismissione in favore degli interessi di qualche imprenditore compiacente, al fine di rendere la protesta evidente e capace di far sentire davvero i suoi effetti sui centri di potere / c’è bisogno di occupare le case cresciute sotto l’egida della speculazione, di trovare nuovi spazi per la gente, per i poveri e per quelli esclusi e puniti da questa manovra / non si tratta di cose che dobbiamo pagare, ci sono le tasse per questo, i contributi che abbiamo già pagato e che tuttora paghiamo per uno stato che dovrebbe essere al nostro servizio e fare il bene dei cittadini preservando la salute e la cultura del paese /
sappiamo quanto ciò sia lontano dalla realtà dei fatti

si rende probabilmente necessaria la formazione di comitati di occupazione (niente di militaresco, bensì aggregazioni spontanee e pacifiche di cittadini), gruppi di persone disposte a comunicare attraverso gli spazi fisici i loro diritti, assumendone il controllo fisico collettivamente, prima che vengano definitivamente posti al servizio di una politica sbagliata / fermare alcune attività (compiendo un’occupazione civile e rispettosa delle categorie indispensabili e necessarie) rappresenta una possibilità concreta di azione permanente dove ogni partecipante fornisce un contributo in funzione delle sue possibilità (occupare, cucinare, scrivere, insegnare, suonare, offrire manodopera e materiale) /
si tratterebbe di occupare luoghi strategici, non solo i tetti come accadde l’anno passato, ma i centri della cultura, scuole uffici e fabbriche, parcheggi, teatri e cinema, oppure andando a creare luoghi di aggregazione negli spazi commerciali incistando la lotta in aree scarsamente sensibili – od ancora, progettando sit-in e laboratori permanenti che trasmettano ai cittadini i contenuti e la necessità di un movimento di protesta attivo /

in tutto questo l’invenzione e la creatività svolgono un ruolo sociale imprescindibile, e la lotta per i diritti umani è di fatto molto vicina all’opera d’arte dal momento in cui contiene un valore intrinseco indipendente dal risultato finale, perché costituisce sempre un arricchimento se osservata in una prospettiva storica ed umana

i social network sono e sono stati importanti per la diffusione delle notizie e la trasmissione dei messaggi, per trovare aree di discussione teorica e riscontro su molti temi, ma come ci sta dimostrando il valle c’è bisogno di riassumere una relazione fisica con la lotta politica, una relazione attiva, compromettente e partecipativa /
lo sciopero quale forma efficace di rivendicazione probabilmente è morto
perché non proviamo a mettere il nostro corpo al servizio di una protesta più esplicita, permanente ed efficace? (e ritengo che stia nel permanente l’ingrediente fondamentale che attualmente manca allo sciopero – probabilmente se lo sciopero diventasse permanente allora condurrebbe a un cambiamento, anche se ovviamente non saprei dire in quale direzione) /
proviamo a riprenderci i quartieri e gli spazi pubblici ed a riappropriarci di una politica che non è mai stata realmente al servizio dei cittadini da moltissimi anni a questa parte / non aspettiamoci che i partiti e i sindacati si occupino di risolvere questa situazione, i loro rimedi sono degli inutili palliativi e non cambiano lo stato delle cose, anzi, il più delle volte rivelano forme di pericolosa connivenza /
questa dovrebbe essere una lotta di cittadini che si mobilitano per il bene comune, senza mediazione partitica o sindacale, le istituzioni possono e dovrebbero in ogni caso partecipare, ma senza condizionare una protesta che deve mantenersi pura, espressione di una necessità che si estende all’intero paese, senza diventare appannaggio di una specifica parte politica /
una lotta per ripristinare il bene comune e garantirne la sopravvivenza e la longevità

se volete fate girare questo messaggio, provate a dare una chance a riflessioni che per quanto utopistiche contengono dei barlumi di fattibilità e degli spunti di cambiamento / date spazio alla possibilità di cambiare le cose e soprattutto non abbiate paura di essere politici nelle vostre considerazioni e ancor più nelle vostre azioni, perché politica è tutto ciò che riguarda la polis, le persone intese in quanto collettività, e non espressione degli interessi particolari di uno o dell’altro partito




qualche giorno fa insieme a luca e salvatore si è deciso di occupare un post sul blog di abitare /

è stato scelto intenzionalmente un articolo apparentemente ambiguo e controverso su cui postare, indipendentemente dai contenuti di partenza, commenti circa un ipotetico progetto di contaminazione del web che andrebbe a ri-generare spazi poco sfruttati al fine di produrre ambiti di discussione in merito alla cultura e all’editoria online /
emerge la possibilità di rioccupare luoghi della rete che non funzionano, perchè poco interessanti o scarsamente vissuti, per ricostituirne la qualità e rivitalizzarli, sia attraverso l’inserimento di nuovi argomenti che con la revisione critica di quelli preesistenti

[nota: questa riflessione è stata illuminante, perché spostando il tiro verso una situazione più generale, mi è di aiuto per compiere un’analisi degli strumenti di mobilitazione politica attualmente a nostra disposizione, ma di questo parlerò in un post successivo]

da luca arriva la proposta interessante e piuttosto radicale di riscrivere gli articoli in calce a sè stessi, una post-produzione del web che potrebbe generare un curioso rimescolamento dei contenuti, destabilizzandoli deviandone la traiettoria e rifrangendone il senso /
qualcosa sta prendendo forma molto lentamente, con scarti e aggiustamenti progressivi, anche se per decollare in forma più chara e definita questa iniziativa avrà bisogno del suo tempo, perchè si crea l’inevitabile esigenza di prendere le misure, spargere la voce, realizzare spazi online dove raccogliere il materiale e mappare gli interventi /

per ora mi piace il fatto che sia un’operazione del tutto fuori catalogo, editoriale nel suo essere contro-editoriale, avversa a una fruizione statica per costringere i lettori a qualche misteriosa forma di dedizione e di impegno migratorio / operazione che oltretutto, sfidando ogni evidenza, investe (e questo a mio parere è l’aspetto più ardito) su una funzionalità dell’area blog oramai quasi obsoleta: i commenti!

si diceva – ma anche questa è faccenda controversa – che dovrebbe essere un’intervento che si pone in termini politici, destinato a disseminare frammenti di coscienza ed approfondimento culturale in spazi non propri (o comunque non prediposti), con l’obiettivo di rivitalizzazione o riqualificazione, provando in tal modo a sottolineare e definire nuove possibili modalità di organizzazione e trasmissione dei contenuti sul web / questione più che mai spinosa, ora che si delinea con sempre maggior livore l’intenzione del governo di operare in termini restrittivi sulla comunicazione con l’intento esplicito di arginare in modo censorio qualsiasi focolaio di controinformazione /

la partecipazione al progetto è libera, ma come ho scritto su abitare qualche giorno fa “mi piacerebbe che questi fossero micro-spazi di condivisione culturale, e per realizzare tale obiettivo nel modo migliore e perseguire dei risultati concreti c’è bisogno che ogni parola, ogni pensiero, ogni slancio, sia risultato dell’impegno e della consapevolezza nei confronti di questo piccolo bene collettivo”

dunque:
no faccine vacue
no perditempo
no zuzzerelloni
si possono segnalare link, progetti, articoli e qualunque fonte che porti a definire meglio zone atipiche di condivisione e di sperimentazione culturale che dovrebbero rappresentare un esercizio di riscrittura ma prima ancora un momento di definizione e rafforzamento culturale
presumo si possano nel tempo organizzare anche incontri e focolai di occupazione a livello locale, pomeriggi di discussione o revisione dei contenuti, svolti vis-a-vis secondo modalità che a me non dispiace affatto definire situazioniste per alcune ragioni (la critica alla spettacolarizzazione, il movimento sul territorio, l’estetica coniugata elegantemente con la politica), nonché momenti di convivialità creativa e condivisa, aprendo per esempio gli spazi privati a un utilizzo rivolto alla collettività

 

 



remo bodei recensisce carlo donolo sul sole24ore / link

[…]
Tra gli ostacoli al risanamento della situazione italiana, viene segnalata la presenza di «soggetti incapacitati», vale a dire privi di quelle capabilities, indicate da Amartya Sen, che consistono, in questo caso, nell’apprendere a procurarsi un numero maggiore di alternative mediante l’accrescimento delle conoscenze, delle informazioni e del saper fare.
Il cambiamento dovrebbe incanalarsi in «spazi del possibile» grazie alla formazione di una cittadinanza attiva e all’entrata a pieno titolo dell’Italia nella contemporaneità: «La mossa strategica è quella di puntare su una rapida e concentrata transizione verso una “società della conoscenza”, fondata su grandi investimenti in innovazione scientifica e tecnologica, sulla diffusione dei saperi e delle competenze tecniche, ma anche dell’informazione per le scelte collettive e, in generale, sulla crescita molto marcata dei livelli di scolarizzazione della popolazione».
Questa società della conoscenza non può esistere senza un’ampia piattaforma sociale di «diffuse e solide capacitazioni di massa», senza agganciarsi alla parallela transizione ecologica (mettendo in questione l’uso delle fonti energetiche, delle materie prime e del territorio e vagliando la sostenibilità dei processi di trasformazione) e senza la netta presa di coscienza del fatto che «la democrazia del futuro sarà certamente molto diversa da quella attuale: più telematica, più partecipata e deliberativa, con un ruolo molto più grande per i saperi, le competenze e le conoscenze nelle politiche».
Se i nostri concittadini riusciranno ad aggregare quelle forze disperse e latenti che esistono nella società e nello Stato (un patrimonio “sperduto” di intelligenze, di competenze e di energie morali), l’Italia potrà tenere il passo, nel contesto globale, con i Paesi più avanzati e non scivolare sulla china di un declino annunciato.
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