working at new christmas cards
soon in the shop

 


 

 

queste mele vengono da raveo e sono il risarcimento morale per la malinconia degli ultimi giorni / anche i fagioli con l’occhio non scherzano

 




1
ma è vero? e che sarà di noi?
e tu perché, perché tu?
e perché e che fanno i grandi oggetti
e tutte le cose-cause
e il radiante e il radioso?
az

2
la citazione non è un diritto d’autore, ma semplicemente elaborazione di un pensiero forte e pregnante che ci sta portando altrove.
saper citare significa saper crescere.
http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2008/06/0017-speculazione-andrea-zanzotto-non.html

3
nel dialetto veneto si dice che la differenza tra un ingegnere ed un architetto sia la seguente “l’ingegnere dice scaca boton pinza la luce” tradotto “pigia il bottone e si deve accendere la luce” l’architetto dice “xe beo ? xe bruto ? parlemoghene” “è bello ? è brutto ? parliamone”.  forse il cittadino non ha più voglia di vedere gli incantatori di serpenti ma vuole vedere la luce accendersi.
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/archivio/ContentSet-f03207e4-0b67-42c0-b603-2d9e40ac5280.html

4
dalla radio mi arriva questa frase:
“trovo imbarazzante il qualunquismo dialettico”
concordo, pensando a una delle autentiche piaghe del nostro presente

 

ho compiuto una drastica selezione e domani finalmente proverò a stampare alcuni lavori (50 copie ciascuno) su carta hahnemühle, specifica per grafica digitale e belle arti /
le stampe saranno acquistabili su uno spazio etsy di prossima apertura, insieme ad alcuni pezzi unici ed altro materiale (cartoline ed altre stampe su carta meno pregiata)

ecco la mia selezione, per cominciare piuttosto ristretta (non mi faccio grandi illusioni) / si accettano eventuali consigli su disegni che vi piacerebbe trovare nel negozio: su flickr è possibile visionare tutti i lavori disponibili per la stampa a partire dal 2007 in poi

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I finally choose some works to be printed on fine art paper
they will be for sale in edition of 50 each on my etsy shop (opening soon) with some postcards, few unique pieces and other prints made on cheaper paper

I made a very strict selection, but you can browse my flickr account and tell me if there is something you would like to find in the shop

 









1
in questi giorni ascolto poca musica
la tensione mi riduce al silenzio
così niente scalette
provo piuttosto ad organizzarmi l’ennesimo portfolio
riscrivo il curriculum, spedisco mail a destra e sinistra

routine della disoccupazione

2
passare in poche ore dall’estate al pieno autunno è stato come uno schiaffo
ci sono ancora i costumi da bagno nella borsa da spiaggia e nell’armadio stoffe impalpabili convivono con le lane pesanti dei cappotti ormai necessari / eppure dovresti amarli questi contrasti così vivi – assomigliano da vicino a quel tuo strano umore così instabile, che si altera all’improvviso ribaltando i toni dei pensieri /
la frutta non è più la stessa sui banchi del negozio, le castagne al posto delle angurie – i ricordi improvvisi di quei carretti che vendevano i marroni ad ogni angolo della città conformano l’autunno, e lo confermano / è la temperatura dell’aria che a volte trattiene più memorie della luce, e ne riconosci gli effetti sulla fisiologia: quel dolore acuto nelle orecchie mentre pedali la mattina presto, o gli occhi che con il clima rigido si riempiono di lacrime improvvise nonostante gli occhiali / ed era un paio di giorni prima che al sole dovevi startene in canottiera perché ancora bruciava, e tenevi la mano nell’acqua e nuotavi e ti scurivi la pelle sdraiata su uno scoglio caldo come una lucertola beata /

3
scrivi di tutto questo per attenuare il ricordo di una piazza triste, la scena deprimente delle solite facce che si ripetono le cose tra loro stesse come un’eco / non hai pazienza e non sai dove mettere le mani – non sai a chi chiedere – sembrano tutti normalmente intenti nelle manifestazioni di sempre, con gli stessi striscioni come se nulla fosse peggiorato, e si trattasse di uno dei soliti scioperi di cui ormai il governo non si accorge nemmeno / poi tornano a casa, danno da mangiare ai figli, guardano la televisione, e ogni volta mi chiedo dove siano quelli che il lavoro non ce l’hanno, quelli che la fabbrica li ha lasciati a casa e che da mangiare oggi si e domani forse / perché non protestano gli stranieri per esempio, per i loro compagni che tutta l’estate hanno compiuto un andirivieni incerto e spesso mortale sui barconi? perché non ci sono i cassaintegrati che dovrebbero essere incazzati come iene dato che le fabbriche delocalizzano e chiudono i battenti una dopo l’altra?
è questa immobilità polverosa che vorrei saper raccogliere con le parole, perché in fondo a guardarla si tratta di una piazza normale in un giorno normale di una qualsiasi città di mezza taglia: i banchetti del mercato hanno appena smontato le tende, ed arriviamo noi con i cartelli ritinteggiati e qualche gazebo – c’è anche una grande tepee indiana issata dai no-tav / gli anarchici invece hanno portato un sacco di cose buone da mangiare, più o meno consapevoli hanno azzeccato il senso, la direzione verso cui si dovrebbe camminare: innescare piccole miccie comunitarie, coinvolgere il corpo ed i cinque sensi, creare legami tra molecole, mescolare ingredienti per ottenere del nuovo /
intanto, a pochi metri di distanza dalle focacce anarchiche, sul vecchio pozzo di piazza XX settembre continuano stancamente gli interventi e rimangono ad ascoltare gli ultimi pochi, un capannello di resistenti che si aggrappano alla bava di illogica speranza che esce dal filo del microfono / insomma, il comune ci ha messi nella “zona giochi” per lasciarci sfogare, e noi educati e obbedienti restiamo a cincischiare mentre il mondo non cambia e la città tantomeno / a pochi metri di distanza c’è tutto lo struscio del sabato pomeriggio – approfittano delle ultime giornate di sole prima di novembre e non si accorgono nemmeno che ci sia qualcosa di diverso a portata di sguardo /
e forse hanno ragione, perché in effetti, da questo lato della piazza non c’è proprio niente di diverso

4

5
poco fa mi viene in mente quella ragazza, giovane e così esagitata da causarmi una specie di fastidio – con indosso la maglietta degli indignados disegnata a mano con i pennelli, batteva le mani tutta esaltata e incitava a gran voce i partecipanti / poi l’ho osservata, dietro al pozzo degli oratori – nei momenti di pausa si è preoccupata durante l’intero pomeriggio di raccogliere ogni minima cartaccia abbandonata in giro dalle persone e di riporla in un sacco nero, per lasciare la piazza in ordine /
è il ritratto che preferisco conservare di una giornata non certo all’altezza delle aspettative, in risposta a coloro che pensano che dietro il luogo comune di un nome (per giunta nemmeno italiano) ci siano soltanto altri luoghi comuni / capita invece che si tratti di generose e disinteressate forme di civiltà, ed è su quelle che dobbiamo investire

così ho pensato il mio contributo al progetto inedite: un contributo politico
sin dall’inizio l’idea di collaborare a una rivista con un progetto editoriale tradizionale mi interessava poco, e tra le varie cose mi era uscita l’idea di fare dei workshop, di mettere in piedi progetti al posto di realizzare articoli
luca ha detto: facciamo una rivista dove ogni numero è frutto di un workshop – perfetto

non amo la fretta, mi piace che le cose prendano corpo con la giusta lentezza
se si respira troppo veloci si va in iperventilazione ed è quello che sta succedendo al trio in-èdite /
personalmente avverto il bisogno di chiarire molti punti ancora oscuri, e definire il senso di questa operazione che vorrei sociale prima ancora che editoriale
per gli interlocutori le idee che ho messo in gioco sono probabilmente troppo politiche e questo mi fa pensare che sarà difficile che vengano tenute in considerazione con il loro autentico scopo / ma non mi importa che siano solo mie, che abbiano un copyright, per cui ho deciso di trascriverle man mano su questo blog, che in fondo è il taccuino della mia vita recente / mi interessa che le idee – qui o altrove – diventino spunto per un progetto, ma che sia un progetto più vicino a pollini che suona ai cantieri navali di genova che a un colorato laboratorio universitario di creativi intenti a mettere in piedi strutture e plastici che dei ruoli sociali non tengono conto che in maniera lontana ed astratta

mi piace l’idea che i ruoli sociali si tocchino, si confrontino, si annusino
mi piacerebbe che i workshop vedessero protagoniste le persone, e non squadre di professionisti patinati intenti a tracciare grafici che nessuno al di fuori degli addetti di categoria sarà in grado di leggere e non mi sento attratta da un ambito di lavoro editoriale dove l’architettura costituisca l’intelaiatura portante
i problemi attuali delle città dipendono in parte dalla cattiva progettazione ma molto anche dal fatto che è difficile mettere insieme logiche di intervento destinate a una società che i professionisti di fatto non conoscono a sufficienza: complessa, atomizzata, che parla tante lingue e mangia cose diverse
la mia parte politica vorrebbe fortemente che questi laboratori (meglio laboratorio di workshop) fossero destinati al coinvolgimento di quartiere, all’indagine sociale all’interno delle scuole, a tracciare un quadro della vita nelle poche fabbriche rimaste in italia, a provare a vedere se esiste ancora l’artigianato e come si colloca nel contesto produttivo
immagino sarebbe giusto dedicare alcuni numeri ai bambini, altri agli universitari, altri ancora alle donne che lavorano in casa, sia come casalinghe che come operaie trasparenti e delocalizzate

sulla base di esperienze passate (da linch a max frisch) l’intervista e il questionario sono secondo me l’ipotesi più plausibile di strumento di lavoro, la più economica e comprensibile, per avviare il processo di definizione di un possibile progetto, dato che al momento nessuno ha ancora le idee chiare in merito al fatto che questi laboratori dovrebbero essere destinati a qualcuno e trovare quindi una loro condizione di necessità, di determinazione culturale ma soprattutto sociale

data l’attuale indeterminatezza del progetto, la mia proposta è quella di realizzare un numero zero in cui vengono poste una serie di domande a diversi attori privilegiati in merito alla sua possibile strutturazione: editori, professionisti, persone che hanno svolto attività di coordinamento, rappresentanti di gruppi sociali, ma anche esponenti della cultura e del lavoro (penso a renzo piano ed alle sue ormai lontane esperienze di progettazione partecipata, penso a franco la cecla,  a don gallo ed altri che hanno destinato i loro sforzi a progetti collettivi ed allo studio delle forme comunitarie, senza ottenere altrettanta risonanza e fama)

insomma, non è facile far decollare un’idea, trovarle una forma, uno scopo, un senso
ci si prova, a volte ci si annega, a volte no

[continua ?]