I
ieri guardavo con tristezza e un certo carico di delusione il video di patti smith e marlene kunz sul palco del teatro ariston, un’esibizione che a mio parere andrebbe presa e considerata ben al di là della sua riuscita artistica dato che il grande palcoscenico del mercato si sta inghiottendo via via qualsiasi icona, anche le più reticenti e pure, e non manca mai di ricordarci attraverso questi piccoli camei (che al pubblico inconsapevole forniscono quel retrogusto di trasgressione che tanto li fa godere, poco importa se si tratta di una riproduzione artificiale in stile disneyland) che lo spettacolo è in grado di fare quello che vuole, basta pagare, e che nessuno è abbastanza forte e in grado di rimanerne completamente fuori

l’italia bigotta in realtà non si scandalizza di fronte a niente, e tantomeno si pone domande, basta che tutto passi attraverso il vaglio ipnotico del teleschermo – inghiotte qualsiasi baggianata e piano piano si addormenta, diventa più lenta nei riflessi, si concentra sull’inutile e non si accorge nemmeno più delle ragioni per cui tira fuori i soldi dal portafoglio, e delle tante maniere in cui va pagando la sua scarsa consapevolezza, la sua pigrizia qualunquista e la sua vocazione strutturale all’approssimazione

qui un articolo di francesco merlo sull’ultimo sanremo

II
è di ieri sera la notizia che il sito di vajont.info è stato blindato da un giudice per aver pubblicato una battuta che metteva in relazione in modo piuttosto esplicito e pungente la mafia, la merda e due simpaticoni a caso, il cui nome noto a tutti evito di trascrivere per ragioni fin troppo ovvie

ecco dunque partire un provvedimento che non solo mette un grave e vergognoso bavaglio a una libera espressione (che certo sfiorava pericolosamente la diffamazione), ma opera in senso ben più pesante andando a rimuovere l’intera piattaforma e quindi tutti gli articoli in essa ospitati, senza che vi fosse alcuna condanna dichiarata per diffamazione rispetto ai contenuti incriminati
sono passate solo poche settimane dalla pesante operazione dell’antitrust americana nei confronti di megavideo ed altri siti di hosting, che ha drasticamente ridotto la possibilità di scambiare materiale online, e già ci troviamo di fronte ad un ulteriore e pericoloso impoverimento della rete, che sembra destinata a un futuro prossimo di progressiva irregimentazione, una stagione incalzante in cui verranno limitate gradualmente la libertà di espressione e di scambio dell’utenza e la possibilità di utilizzare internet per fini diversi da quelli dell’intrattenimento e del commercio, o della circolazione di dati e informazioni che si pongano in netto e radicale contrasto con le logiche di chi comanda
non vengono puniti i siti porno o quelli che invitano a giocare d’azzardo, sappiamo purtroppo che persino la rai ha deciso di ospitare alcuni spot di sale da gioco online – ma vengono e potrebbero ancora venir censurati e perseguiti penalmente tutti coloro che si esprimono in netto contrasto con le logiche partitarie o delle lobbies finanziarie, quelli che agiscono in funzione di una libera circolazione dei contenuti e che immaginano un mondo che ponga su un piano diverso le esigenze del mercato rispetto a molti altri obiettivi che vanno in diversa direzione, più democratica e attenta nei confronti dei diritti umani e dei valori sociali
la rete fa molta paura a tutte le forme di potere e l’unico modo possibile per neutralizzarla è quello di mettere un pesante bavaglio e dare il via a una politica di censure e sanzioni (non vedono l’ora!), nel tentativo di scoraggiare ogni forma di controcultura e qualsiasi altro tentativo di boicottare le svariate forme di supremazia economica cui siamo quotidianamente sottoposti

e mentre si prospettano simili scenari, prendono sempre più piede i social network, sui quali svariati milioni di persone spendono le loro giornate a scambiare informazioni e materiali, opinioni e dettagli di natura personale, senza fare caso al grande occhio che sorveglia ed incombe, e poco preoccupati che la loro privacy venga costantemente violata a loro insaputa / la maggior parte di loro – diciamolo – dissemina la rete di cazzate o tutt’al più di ogni genere di amenità, e quindi rappresenta un target ideale per il business e un soggetto che non desta preoccupazioni d’altro genere / non pensano alla censura, queste candide creature: magari parlano dell’ultima cravatta che hanno regalato al fidanzato, oppure riempiono la bacheca di fotografie anticate, processate con il loro iphone, si divertono a leggere le bacheche degli amici per rincarare la propria dose di quotidiane piacevolezze del tutto inutili per il pianeta – e se qualcuno viene censurato che importa?
la libertà per loro è poter scegliere un paio di calze o la macchina nuova
insomma, solo fuffa di ordinaria amministrazione che non fa paura a nessuno, là in alto

le considerazioni di wu ming sul caso vajont.info in un commento

qui un altro post che spiega in dettaglio la situazione e le sue possibili conseguenze

III
stamattina, parlando con un “collega” (mi sento poco adatta alla definizione di insegnante, ancora troppo imparante e incerta per quel ruolo) in merito a sanremo, mi son sentita dire che il festival e il calcio sono analoghe espressioni collettive di una certa italia, da mettere sullo stesso piano / la mia risposta, da amante della musica e della cultura molto più che del calcio (per quanto…), è stata che in genere chi va allo stadio conosce bene ciò che va a vedere, è consapevole del suo gusto e compie una scelta abbastanza precisa, pur con tutte le aberrazioni comportamentali che ne conseguono, mentre chi guarda sanremo nella maggioranza dei casi lo guarda e basta, e di musica o televisione non capisce proprio un cazzo – in genere è un pubblico che si annulla davanti a tante altre porcate televisive e aspetta questa kermesse per decerebrarsi una volta di più con la melma dei gossip e per impantanarsi fino agli occhi parlando di tutto fuor che di musica o di comunicazione: l’orlo di una gonna, la sfumatura dell’ombretto, il seno rifatto di una soubrette, il tatuaggio e la battuta grottesca, la mutanda si o la mutanda no? (e questo elenco di nobili quanto imprescindibili argomenti potrebbe continuare a lungo, purtroppo …)
tutto ridotto a mera chiacchera fine a sé stessa

mi è stato obiettato che le persone non dovrebbero giudicare, quasi che esprimere un giudizio personale su uno spettacolo mandato in onda da una rete pubblica (e sottolineo: pubblica) e le re-azioni dei cittadini-spettatori fose un atto di presunzione / quale dovrebbe essere dunque il ruolo del nostro cervello e il limite delle nostre opinioni nel momento in cui ci troviamo di fronte a un evento di natura collettiva che catalizza l’attenzione delle persone e dei principali media e che rientra nelle priorità televisive di così tanti italiani? quello di entrare in stand-by senza trarre conclusioni in merito o quello di analizzare criticamente la situazione prendendo una posizione che ha tutto il diritto di essere anche (ma non solo) ideologica e culturale? perché non posso giudicare quello che vedo se è conseguenza di una decadenza culturale ed intellettuale del mio paese? perché devo astenermi dal dire che di fronte a certi programmi basta un minimo di decenza e di intelligenza per decidere di cambiare canale dopo pochi minuti?

l'intelligente e provocatoria illustrazione di gianluca costantini

IV
siamo abituati a soprassedere, a mettere le cose in calderoni generosamente allargati e tolleranti, dove ci stanno comode e non causano turbamenti rispetto alla loro definizione / ma l’approssimazione rappresenta uno scanso delle proprie responsabilità, di pensiero prima, e di comunicazione poi –  ed è proprio l’approssimazione che in buona misura ci impedisce di assumere una posizione chiara e decisa nei confronti delle cose – perché spesso, per pigrizia o per comodità (quello che si definisce comunemente quieto vivere) preferiamo fare di molte erbe un fascio senza guardare più da vicino l’assetto reale delle cose ed oltretutto tollerando la differenza in tutte le sue forme, anche quando è solo conseguenza del mal vivere e di un deficit di pensiero

non si tratta di parlare di calcio o di sanremo, piuttosto di prendere in esame cosa sia veramente un evento collettivo condiviso per gli italiani, se esista qualche aspetto che susciti una reale e profonda identificazione, e con questo intendo dire che se davvero mi identifico con una certa cosa mi assumo la responsabilità di quella cosa e mi pongo criticamente (con coscienza critica) nei suoi confronti / possiamo scegliere solo ciò che conosciamo, e quando non scegliamo vuol dire che veniamo scelti (ma non sotto forma di investitura divina…)

non credo che la soluzione sia non possedere un televisore, non credo (penso di averlo già scritto) che rinunciare a uno strumento sia la posizione migliore / penso invece che gli strumenti vadano usati per ricevere le cose buone che sono in grado di offrire (l’altra sera per esempio, rai 5 ha trasmesso, pur se a un’ora indecente, bela tarr, tanto per dire) e che sia un nostro dovere fare in modo che tali strumenti rimangano al servizio del bene pubblico e lottare affinchè non diventino sempre di più causa di torpore mentale e di abbrutimento culturale /

quello che ho domandato al mio collega musicista nel momento in cui affermava che potendo sarebbe andato a sanremo per essere parte di quello che per lui è un grande per quanto discutibile progetto pubblico, è stato che cosa secondo lui sarebbe rimasto nel cervello degli italiani alla conclusione del festival e quale valore aggiunto contribuiva a dispensare la detta rassegna – la risposta era ovvia ed ha fatto de-cadere la conversazione, ma davvero ritorno sul mio vecchio adagio in merito al fatto che troppo poco ci domandiamo se le cose che facciamo, i libri che leggiamo e le nostre pratiche culturali siano in grado di renderci più forti e più ricchi o se siano invece soporifere pratiche di mantenimento, dove un’immobilità piacevole sembra essere l’unico bene perseguibile

l’accondiscendenza che dimostriamo nei confronti di molte situazioni culturali di misero compromesso e di scarsa qualità, è conseguenza del fatto che costruire variazioni del senso e perseguire una maggiore solidità culturale implica uno sforzo enorme, e soprattutto tante forme di rinuncia alla piacevolezza che invece impregna la scadente sottocultura cui siamo sempre più abituati / è faticoso e scomodo essere coerenti, è faticoso mettersi a smontare la realtà di ogni giorno e cercare il pelo nell’uovo delle cose, ci può rendere infelici, a guardar bene, e molto antipatici – e lo dico perché questo mondo recente mi angoscia profondamente, è un mondo che manca di valori condivisibili, è brutto e non mi piace / non mi piace esser costretta un po’ come tutti a cercare la gratificazione solo nel privato, nell’individuale, od entro i limiti di una condivisione locale / e non mi piace accontentarmi sempre e comunque / avrei bisogno di sentire che alcune cose vanno bene per tutti, o quantomeno per tanti, che esiste un piano più ampio per condividere il piacere così come lo sforzo della costruzione (e in questo caso intendo la costruzione politica nel suo senso più alto)
non mi importa nulla di sanremo, ho la televisione ma non lo guardo
ma mi ha ferita sapere che patti smith l’altra sera era su quel palco, perché era un altro tassello privo di senso che si aggiungeva al mosaico del presente, un altro momento di insensata contaminazione, perché non è più vero che l’importante è solo fare cose “belle” (posto che lo siano davvero) non importa dove e non importa quando / invece dovremmo proprio cominciare a decidere con più attenzione dove quando e soprattutto perché – sperando che almeno per quelli che come lei (patti) sono arrivati molto in alto, non siano i soldi od il prestigio personale l’unica discriminante alla base del compromesso

V
colophon
sono diventata antipatica, e pesante
è perchè sono infelice, e le ragioni non sono esclusivamente di natura personale: mancano le gioie condivise di cui sopra, i motivi per andare orgogliosa del mio paese, delle persone che ci governano, e più in generale per essere soddisfatta del tempo in cui vivo
in passato a scuola i colleghi erano contenti di vedermi, perchè dicevano che portavo con me una strampalata forma di allegria
ma era un’altra stagione
adesso immagino proprio che non sia così: sento di trasportare anche al lavoro questa pesantezza di pensiero, che si dissolve solo in compagnia dei ragazzi, quando siamo immersi nelle attività più concretamente connesse all’apprendimento ed allo scambio di contenuti
aspiro ad un lavoro che mi consenta di vivere in silenzio

mi auguro davvero che questo non si trasformi in un blog di cucina, in primis perchè non possiedo il talento e tantomeno le competenze necessarie, ed oltretutto perchè preferisco decisamente riempirlo con altri contenuti
ma nelle giornate fredde accendere il forno è anche un pretesto (da concedersi con parsimonia, visto il costo dell’energia elettrica!) per intiepidire la casa, e non solo per gustare qualche pietanza particolare, e così l’altra sera, particolarmente bisognosa di tiepidità, ho pensato di utilizzare una confezione di pasta sfoglia che avevo in frigo per mettere insieme questo strudel di spinaci ai tre formaggi, che è riuscito particolarmente bene

condivido la ricetta per realizzare questo piatto sostanzioso, gredevole sia appena sfornato che una volta lasciato raffreddare / le dosi sono sufficienti per almeno cinque persone


strudel di spinaci ai tre formaggi
tempo di preparazione 50 minuti

ingredienti
un rotolo di pasta sfoglia
450 g spinaci tritati (ho usato quelli surgelati orogel)
100 g ricotta
30 g parmigiano grattugiato
30 g quartirolo
1 uovo
pangrattato
10 mandorle spellate a listelli
un pugno di uva sultanina ammollata
sale
noce moscata
rosmarino
menta
semi di sesamo (facoltativi)

mettere gli spinaci a scongelare in una terrina per qualche ora (oppure scottare quelli freschi leggermente e quindi tritarli fini con la mezzaluna)
aggiungere la ricotta, il parmigiano, l’uovo intero sbattuto con il sale, un pizzico di menta e del rosmarino sminuzzato, la noce moscata, le mandorle a filetti, l’uvetta e infine il quartirolo tagliato a piccoli cubetti
regolare la densità dell’impasto aggiungendo un paio di cucchiai di pangrattato
srotolare la sfoglia sulla teglia rivestita di carta da forno e farcirla con il suo ripieno
quindi rotolarla aiutandosi con la carta formando uno strudel e ripiegare gli estremi per dare una forma leggermente curva
volendo, spennellare la superficie con poco olio e cospargere con semi di sesamo e rosmarino
infornare a 180° per 40 minuti

un anno fa


sono giornate molto fredde, quasi sempre il termometro viaggia sotto lo zero, ma è un freddo asciutto, senza neve o pioggia, e quindi disturba meno, anche se spesso le strade e le campagne sono percorse da un vento che ricorda le bore costiere

è piacevole rimanere in casa, bere del tè bollente appena macchiato, magari infilarsi sotto una trapunta calda per guardare vecchi film – oppure leggere, o dormicchiare

tutto questo rappresenta l’inesistenza di una vita comoda, mentre si ascolta continuamente di luoghi e momenti della storia in cui nulla è comodo e nulla è civile o facilmente sopportabile – per questa ragione il pensiero e l’impegno non dovrebbero darsi pace mai

invece le mie ore attive sono anch’esse pigramente privilegiate: ore di cucina, oppure impiegate a preparare lezioni di grafica – comodamente sola, ma anche intellettualmente sola (ultimamente persino i segni lievi di illustrator defezionano)

a volte qualche bagliore, come una voce nel telefono, o un pacco che arriva da lontano: ana è un’amica che non manca mai, ogni occasione è motivo per dimostrarmi quanto è vicina (la borsa di tela e l’agenda aperta alla pagina con il cuore fiorito sono opera sua)
grazie!

+

la musica di queste giornate – cristallina come l’inverno






muore theo angelopoulos, all’improvviso, investito da una motocicletta – e torna il freddo, ma limpido che quasi non sembra di essere in gennaio

le giornate si succedono senza che abbia voglia di dire o scrivere niente di particolare (eppure ce ne sarebbero di cosiderazioni da fare, visto come va il mondo) – invece, quando mi piglia qualche malumore, infilo un grembiule e mi metto a cucinare: un dolce, una minestra, oppure ricette mezzo inventate con le verdure di stagione

nell’atto di cucinare è racchiuso un piacere non solamente nostro, quello di poter offrire ad altri il cibo che abbiamo preparato, ed un ulteriore piacere deriva dall’apprendimento, dalla sua traduzione in risultato pratico, tangibile – lo percepisco nella capacità di affrontare svariate preparazioni senza distruggere la cucina e senza affanno, come se nel tempo i gesti fossero divenuti finalmente familiari, così come le dosi e la capacità di gestire le nostre imprecisioni, il sapere dove e quanto si può sbagliare

ed anche se non sono granchè, come cuoca, attualmente cucinare rappresenta un rifugio assai più di quanto lo fosse un tempo, quando lo facevo per molti amici e conoscenti, mettendo insieme alla buona qualche minestrone o delle gigantesche terrine di insalata, e quando se le terrine non bastavano, si serviva in tavola rovesciando le pietanze nelle pentole più capienti e nessuno protestava
allora il piacere era quello ben più vivido e intenso delle presenze umane, della condivisione di un tempo comune e non solo del cibo – le vivande erano un pretesto per trovarci intorno a un tavolo che poteva anche essere una porta messa su un paio di cavalletti in una casa ancora da arredare

ora tutto è calmo, più privato, la socialità è repentinamente appassita con l’arrivo in friuli – non ricordo tavolate numerose negli ultimi anni, solo alcuni pranzi di famiglia o con qualche amicizia più stretta – momenti che competono all’esistenza ritirata e sottotono che conduco, forse anche per mia scelta, in questa noiosa regolarissima città del nord-est

.

la terza foto dall’alto, da “Trilogia: To livadi pou dakryzei” (la sorgente del fiume) del 2004







un compleanno in famiglia

.