Category Archives: diario

30.07
potrei mai abituarmi a questo paesaggio precario, irrisolto, selvaggio a volte com’è selvaggia la mafia? sembra di abitare un luogo appena uscito dalla guerra, dove tutti si arrangiano e lo stato è un’entità remota che neppure si è capaci di pronunciare

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sono piuttosto arrabbiata e frustrata per le mie foto
non credo di essere riuscita ad andare oltre al folklore
ed invece c’era così tanto – così tanto da cogliere e da trasportare …

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in spiaggia - nella radio ascolto voci a me incomprensibili che arrivano da grecia e albania

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è una faccenda complicata spiegare perché non ho trovato il salento particolarmente riposante /
sarà per via della questione meridionale, un fatto di coscienza, o per le cicale, oppure per altre svariate forme di ridondanza che mi impedivano di riposare l’animo / mi sentivo sempre sotto l’effetto di qualche fenomeno stupefacente e mai completamente al sicuro, nonostante il continuo generoso apporto delle persone, i loro consigli, i favori, i racconti fantasiosi od a volte invece solidi come la storia /
inoltre, situazione spinosa, era come se mi trovassi all’estero, in un paese remoto – addirittura in un altro tempo!

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forse capita, di fronte a ciò che si impone nella sua forte definizione / credo sia proprio tale forza a spaventarmi, un contesto talmente connotato da risultare incorruttibile (che in questo caso specifico potrebbe voler dire anche irrimediabilmente corrotto? … )
immagino sia normale per i turisti non aver a che fare spesso con le istituzioni locali durante le loro vacanze, ma la sensazione lasciatami da queste settimane è stata quella di uno stato atrofico, ridotto a moncherino, dimenticato o peggio, tirato in causa come pura teoria, quale facciata di un mondo completamente altro, antagonista e sotterraneo /

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ci troviamo in un tipo di mondo dove l’esposizione personale è ancora impensabile, soprattutto da parte delle donne / non parlo certo di lecce, o delle famiglie borghesi dei centri maggiori / parlo del salento popolare, delle famiglie operaie o contadine, dei ceti medio-bassi che riempiono le campagne e abitano un territorio apparentemente urbanizzato ed in realtà contraddistinto dall’estetica del non finito, che incista la modernità dentro a contesti ancora molto antichi, non si capisce bene se per indolenza cronica o per cultura millenaria /

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chissà che rabbia per qualcuno, sentir parlare in questo modo un forestiero, uno che viene da lontano / ma le sensazioni provate sono state così forti da non poterle frenare / quanto c’è di pregiudizio in questo?
ho cercato di partire dal territorio, dagli occhi, dall’esperienza personale / ho cercato ogni giorno di rimuovere tutto quanto appreso in precedenza in merito al sud ed agli sgradevoli luoghi comuni che tanti danno per scontati  / … è un percorso plausibile?
ciò che tento di spiegare è leggermente diverso, è il senso di insicurezza e di disagio che sopraggiunge con il semplice atto del guardare, dal camminare attraverso le città e osservare le campagne costellate di ruderi e popolate di cani randagi – dall’ascolto diretto delle voci, dei racconti /
si tratta forse di paura della miseria o della diversità culturale?
sono rientrata davvero con sollievo al nord operoso e solo apparentemente immacolato?
io questo nord non l’ho mai difeso, nè comincio a difenderlo ora – ma sono spaventata da una società che non si espone e che non prende coscienza dei propri margini, degli errori e della condizione reale /
e questa italia così distante nelle sue diverse regioni, così vicendevolmente straniera e incondivisa, mi coglie impreparata / spostarsi sul territorio non è qualcosa di facile, non si tratta di uno svago, almeno per me – diventa impegno politico e risveglia la necessità di un dialogo più intenso ed aperto tra nord e sud
niente di folkloristico …

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08-026

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parole: tahar ben jelloun

sono a galatina per vedere gli affreschi nella chiesa di santa caterina
mentre cammino mi imbatto in un portone che chiude un laboratorio le cui pareti sono tappezzate di vecchi attrezzi, fotografie ed ephemera / pare di entrare in un altro tempo / mentre scatto timidamente la prima dalla strada lui percepisce il suono dell’otturatore e mette fuori la testa per guardare, mi chiama e mi prende per mano guidandomi all’interno / non posso andarmene senza aver fotografato questo, e questo – dice – guardi, guardi …

paolo realizza tappetini e tappezzerie per autoveicoli – ma nel suo laboratorio, è evidente, potete trovare molto di più

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il paesaggio mi sbilancia continuamente verso poli opposti, l’estetica è contraddittoria, lacerata – il verso delle cicale è una costante di sottofondo e nei momenti di silenzio diventa qualsi assordante / la prima parola che trovo nel mio vocabolario, dopo pochi minuti di viaggio sul territorio, è ipnotico: l’esterno mi provoca una particolare forma di stordimento – sarà la stanchezza, o forse il caldo, o gli ulivi che si susseguono come sculture nella loro bellezza antica – tutto è ridondante nell’assenza di monotonia, si ripete con particolare violenza e non pacatamente, finisce per provocare una forma di partecipazione stupfacente / così va in crisi l’immagine di un salento dolce e morbido per cedere spazio a un’estetica forte e quasi insidiosa, dalle radici piantate nel medioriente /
la vegetazione è lussureggiante, le ultime estati sono state meno torride e le piante non sono ingiallite / ci sono rododendri, fichi, palme, capperi, agavi e grandi macchie di cactus che stanno buttando i primi frutti ancora acerbi / viaggiando in corriera vedo campi coltivati e contadini curvi a raccogliere meloncelle (menunceddhe) e pomodori / masserie da mille e una notte, muri a secco, furni dove dormono o dormivano gli agricoltori con la famiglia tutta durante la stagione più calda / le cicale mi stordiscono, le senti anche in spiaggia, acquattate nelle pineta alle mie spalle – devo tuffare la testa sott’acqua per fermare quel suono spettrale

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(altro…)

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sto bene solo quando posso salire su un autobus e andare
dormo in una stanza arredata con cura
la mattina mi litigo la vasca con un grosso scarafaggio
mangio poco – mi dimentico
devo pensare a non essere troppo infelice
concentrarmi sul prossimo autobus e tenere la bocca chiusa
ho quasi 47 anni e nemmeno una ruga
una piccola parte di me ancora mi assomiglia
e questo vento che scuote dolcemente le ombre mi fa compagnia
mi manca un internet point

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qui tutti sornioni
un massaggio per l’ego

25.07
disponi i tuoi segnali con fantasia


] nel blu mi perdevo, e riposavo
ascoltando il silenzio che si faceva adulto [

il blu diventato bersaglio – ogni passo tornavo
volevo tornare e diventare bella come una ragazza
e perdere peso nel viaggio
perdere peso nell’amore risolto, nella sua corrispondenza

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qualcuno ha scritto storie illegibili
sui muri scrostati di un edificio abbandonato
[ zollino / lecce ]


08-011
08-017
(altro…)

tornata /
le foto meno indecenti scattate durante il viaggio sono raccolte su flickr
i diari ancora tutti da sistemare (presumo ci vorrà del tempo … )

ho disegnato poco –
la canzone invece – ascoltata innumerevoli volte

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(il titolo non c’entra – era per un post che poi non ho scritto)

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then I came back from where I’d been.
my room, it looked the same –
but there was nothing left between
the Nameless and the Name.

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08-007

è troppo caldo e non riesco a fare molto
le valigie sono ancora in disordine mentre il mondo si scioglie
esco il meno possibile e mi abbandono a malinconie svogliate (e molto umide)

tutto appiccica – persino i sorrisi

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per le vacanze ho scelto cuore di tenebra

07-053
07-054
07-055