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chi mi chiama – chi mi ama?
le fronde calme degli alberi
difficile fotografare il bosco
è vertiginoso, sfugge verso l’alto
inoltre ci sono così tante foglie e rami e sassolini funghi pigne e bacche
che l’immagine si riempie di segni, diventa fastidiosamente fitta
tutto occhieggia – e l’obiettivo impazzisce
abbiamo camminato per un paio d’ore nell’incanto dell’autunno
( tempo minimo necessario per digerire il pranzo pantagruelico della zia )
sulla torre picotta tira un gran vento
l’aria è limpida e si vede lontano – il digradare azzurro delle montagne
lo zio osserva con occhi amari il paese tanto cresciuto
l’infanzia sommersa e cancellata da una colata di cemento
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negli ultimi giorni abbiamo avuto giornate tiepide, accoglienti e luminose – come se fosse ancora estate
ma il tempo adesso sa cambiare repentinamente ed oggi l’aria è già più fresca, nonostante il sole /
anche il mio umore è instabile – ed il corpo sembra scricchiolare per gli sbalzi del clima
ieri è venuta a trovarmi – i suoi passetti fragili e gli occhiali sempre storti :)
l’ho portata a spasso nel quartiere – pensavo di regalarle un paio di pantaloni, ma non ha voluto
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ti ritrovo, mia puerile pseudodanza innaturale
ti chiudo in un cerchio: e ti interrompo, ti rompo
luciano berio – sequenza XI – eliot fisk chitarra
testo – edoardo sanguineti
la caducità dell’oggetto-mezzo, il suo consumarsi nell’uso, tendono ad alterare nuovamente la struttura della cosa, che si rivela sensibile al fattore tempo seppur in misura e con modalità differenti da quelle umane / bisognerebbe far crollare le barriere dell’ovvio, restituire l’oggetto alla sua sempre rinnovata complessità, ed ecco che dall’oggetto si passa all’opera, opera d’arte si intende, che non solo restituisce dell’oggetto la pura bellezza, ma a quanto pare trattiene di questi la verità, il suo essere oggetto, le sfumature del senso e le sue fragilità di fronte allo scorrere del tempo [e farsi anche evento storico?] / entra in gioco una definizione estetica che non si confronta più solamente con la bellezza in quanto tale / heidegger cita ad esempio le scarpe contadine di van gogh, traendone il titolo per l’intero saggio / l’arte come porsi in opera della verità, il sogno di cezanne, così faticosamente perseguito eppur irrealizzabile nella sua completezza
26 luglio 2007
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ho sviluppato un modo (forse banale) per meglio individuare la presenza di un valore intrinseco nelle cose: è chiedermi sempre quale sia la loro reale significanza, il loro stato di necessita’ – oltre l’oggi, l’adesso, oltre il mio debole perimetro
queste interrogazioni (apparentemente) semplici mi hanno fatta sentire molto spesso in imbarazzo di fronte alle scelte compiute – aiutandomi talvolta ad eliminare alcune dipendenze e parecchie zavorre formali
ma non sono ancora riuscita a renderle sufficientemente efficaci nel lavoro creativo, anche se ci provo – ogni giorno
(difficile prendere distanza da ciò che è parte di me)
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scrivere (come disegnare) mi costa fatica
prima di rendere definitivo un disegno passano giorni, settimane, a volte mesi
anche se non spesso, capita di tornarci persino a distanza di anni
(per esempio in questi giorni, con i lavori alfabetici)
…
poi mi accorgo che nel frattempo qualcuno ha preso le mie stesse idee e le ha sviluppate meglio
:)
+
a distanza di giorni è la parola “cosa” (le cose dell’incipit) a colpire di più la mia attenzione
contenitore di situazioni e riferimenti generico ed esteso – estensibile
applico la selezione personale quanto più spesso mi è possibile
anche se a volte mi dimentico, mi distraggo, tergiverso – soprattutto indulgo
allora si solleva una questione ancora diversa:
quanto di quello che scrivo e pubblico qui dentro mi corrisponde?
il blog è una piattaforma di verità personali o diventa un luogo di mistificazione e persino chimerico?
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questa doveva essere una lettera
fu scritta verso la metà di settembre e mai spedita
la postilla invece (+) è di oggi
parole 1 / derrida
parole 2 / heidegger
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