Category Archives: diario

nel primo pomeriggio
faceva caldo

il paese trasformato
voragini spazio temporali (e vuoti di memoria)

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IMG_9236 copia (altro…)

mi ha dato da mangiare qualcosa che sapeva di umano

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a forza di tenersi a distanza aveva finito per non riconoscerli
se ne cibava nella più innocente incosapevolezza
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cassiopea – non vorrei essere amica – di nessuno – ma solo progettare giocattoli sociali.
non vorrei nemmeno una cassetta delle lettere ma lettere nuove e mie.
(federica di blasio)

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la sua, da moltitudini di giorni e teatri, era una vita senza lettere

[ capisci che non sei adatta per sederti con certi uomini a sorseggiare l’aperitivo, per quello ci vogliono forse un’altra carrozzeria e la mente sgombra
te la prendi col tuo naso, con la sua forma sgraziata, ma sai che è un vezzo, per via dell’attitudine tragicomica: ti porta a teatralizzare, a trovare un focus paradossale su cui coagulare le diverse nuances dell’infelicità ]

[ mentre il mondo va a rotoli – il mondo geme e scricchiola in modo infernale, e capisci ancor di più che il naso non c’entra, nemmeno il tuo, sgraziato e solitario / il mondo va a rotoli, muore, urla, chiede pietà ad alta voce, e la tua mente non è sgombra, pur se cerca di sgomberarsi in tutte le maniere possibili e si affanna alla ricerca di una qualche forma saponosa e conciliante di sopravvivenza ]

lui le aveva detto (seduto di fronte, a una distanza siderale e rassicurante estesa come il vecchio tavolo bianco da laboratorio): “sei troppo idealista”
lei gli aveva risposto dicendo: “non voglio mica disegnare formiche tutta la vita”

[ ricordando questa scena hai bruciacchiato la brioscia
(anche la colazione andrebbe fatta a mente sgombra) ]

sul margine di una finitudine tra le tante, ha nostalgia di ciò che non esiste

avverte la mancanza di tutto quello che aveva idealizzato, da idealista – di tutte le costruzioni che l’avevano aiutata a sopportate l’intollerabile, l’arredamento, gli arredatori / sono scenografie che si sgretolano sul margine, un po’ troppo presto, come un’anestesia che finisce in anticipo mentre sei ancora sul tavolo operatorio / si polverizzano gli scenari che davano un senso al suo sforzo e che garantivano la fantasticheria e “pof!”, lei si sveglia: guarda il mondo, guarda l’arredamento, gira la testa e non trova la porta

sul tavolo un piccolo ammucchio di medicine e dispositivi medici che le hanno svuotato il portafoglio: niente è gratuito, nemmeno invecchiare

[ in questi giorni da più parti ti rivolgono discorsi sull’amore: “l’amore perfetto non esiste” – hai detto a uno – “resisti e persevera” – consigli ad un altro.
parli di qualcosa che è nebuloso e astratto, un ricordo più simile a una svista; probabilmente ti sei sbagliata, probabilmente hai strani anticorpi che ti congelano il sangue (e che rendono il tuo naso indesiderabile) ]


si calmava solo di fronte alla trasparenza dell’acqua, per qualche istante / ma era una calma vergognosa, perché il mondo gridava troppo forte


cerca tra gli strati l’eleganza di un fiocco
povero fiocco di fettuccia che tiene insieme gli anni belli

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il blog perde progressivamente il suo senso
nessuno si accorge dei silenzi prolungati allo stesso modo in cui la pubblicazione intensiva di materiali non procurerebbe alcun sommovimento o reazione.

la stagione procede con molta fatica, impegnata senza piacere in attività didattiche e inutili corsi di formazione / un senso del dovere che non sa decodificare la spinge ad avventurarsi in imprese estranee, apparentemente intenta a costruirsi una posizione più responsabile, in realtà pesce fuor d’acqua, boccheggiante e spaesata

mentre gli altri prendono appunti lei disegna, certo per sentirsi meno sola, e riconoscersi pallida-mente in quel senso di vaghezza frivola e in quell’irresponsabilità che la tiene ferma e non la fa crescere, ostinata a coltivare una personale inconsistenza: il margine infinitesimale tra lei e la rovina, tra l’assenza di stimoli e il dolore, tra spossatezza insonne e incubi, tutto si definisce sulla superficie sottile di una bolla, come un castello instabile che prima o poi necessariamente non può che rovinare su sè stesso, quando l’estetica e la congettura del mondo non potranno più bastare, come giocattoli di un’età sbagliata, frutto di sproporzione mentale e margine friabile del disadattamento.

non ricorda a lungo: i processi mentali, i nomi e le facce cadono nel dimenticatoio dopo un tempo breve / anaffezione del pensiero e dei sensi, slalom attraverso ombre di statue / forse sono le ombre delle ombre – ciò che rimane sotto forma di ragnatela

tutto sommato, la stanchezza rende questo tempo quasi dolciastro
lo sguardo di sua madre lo fa disperatamente dolce


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I
la minima bellezza che si rivela negli anfratti tra le cose
nelle crepe e dentro le rughe dei vecchi
non sa raccontarla – a nessuno

II
prima cercava di capire come altri potessero vivere la citta’
senza avvertirne l’andatura mediocre, senza soffrirne
adesso si chiede solo com’è che in lei la rassegnazione non germoglia e come sia giunta al punto di soffrirne fisicamente, provando un profondo opaco risentimento corporale nei confronti di ogni minuto trascorso all’interno di quel perimetro inespressivo e monotono

ha imparato che non basta (almeno a lei non basta)
che una macchina funzioni correttamente
c’è bisogno di percepire una speciale vivacità nel motore,
c’è bisogno che quella stessa macchina le parli e le racconti, che le spieghi e che la solleciti
che riveli il suo meccanismo sotto forma di energia

ma forse non era la città / forse era il mondo
e forse non era il mondo ma era / proprio / lei

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(questo era prima)

ho letto un libro che ri-suonava
non aveva pagine
non aveva argine
l’ho letto
e ri-letto
fino a quando
mi è sfuggito dalle mani

[dedicato alle definizioni grossolane di ciò che non è possibile definire / allo stupore maldestro che spesso provoca chi elude -volente o nolente- il senso comune] [nascono fragole, frutti segreti nell’inverno inoltrato – non se ne accorge nessuno]


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