Category Archives: diario

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09012011 1347

la vocè è un pezzo di corpo?
fa parte del bagaglio fisico o rappresenta il limbo informe che mette in collegamento la materia con gli apparati più astratti dell’essere?.

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16012011 1134

la fatica di passare da qualcosa a qualche altra cosa, da bellezza a bellezza – c’è sempre un vuoto voraginoso nel mezzo, ogni volta un vuoto molto esteso e prolungato
l’esercizio di vita sarebbe quello di contrarre quelle estensioni del nulla, renderle inoffensive, nasconderle dietro le tende e dimenticarle

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(le foto sono del 2001)
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I

scrivere in terza persona conferiva un’aura romanzata al racconto e rappresentava una degenerazione narcisa, una debolezza che non la portava oltre e che anzi la infangava ancor più nei suoi vizi personali

II

il computer si era rotto
al pensiero di questo guaio non provava l’apprensione di un tempo e rimaneva passiva, seduta di fronte al vecchio portatile in balìa di una misera stecca di ram ormai fuori produzione – la macchina vetusta ignorava la parola gigabyte, era provvista dei requisiti minimi di sopravvivenza e le consentiva di rimanere in contatto con il mondo quel tanto che bastava, scaricare i messaggi e leggere i commenti recenti sulle sue pagine

pensava ai file, alle parole ed ai lavori digitali, alle musiche – i materiali del suo quotidiano abbandonati a se stessi su un disco attualmente inutilizzabile e che forse non avrebbe più ripreso a funzionare

III

aveva freddo e sonno e si sentiva sola
immaginava la città fuori come una steppa desolata immersa nel buio, dove si incrociavano solo poche vite, di tanto in tanto – sporadiche presenze con cui era possibile una minima interazione, un respiro vagamente condiviso
la maggior parte delle persone facevano per lei parte del paesaggio inanimato, anche se tale considerazione dell’esterno non implicava una scarsa considerazione delle loro qualità, solo una totale estraneità al suo mondo, una incompatibilità radicale con la sua visione esistenziale

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non posso scrivere
non vado a protestare sul ponte di caneva
non mi muovo e non parlo
ascolto la radio
sfoglio il giornale di due settimane fa
passo la mano sulla superficie domestica della mancanza

le foto diventeranno piccole
il quartiere si chiuderà sulla casa fino a mangiarla

del resto la città ha adottato con disinvoltura
standard apparentemente trasgressivi
trappole per idioti

nemmeno gli operai proteggono se stessi
nemmeno i malati
nemmeno le madri proteggono i loro figli

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ho cominciato un paio di corsi di photoshop per cassaintegrati (quasi tutti ex-safilo)
intorno al grande edificio una campagna incerta in attesa di cementificazione e remoti skyline
(foto dal cellulare)

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da un’amica ho comperato a prezzo stracciato alcuni vecchi libri
(nessuna prima edizione – in compenso molte macchie sulle copertine)

1. pavese – la spiaggia – 1970
2. breton – antologia dello humor nero – 1977
3. borges – altre inquisizioni – 1976
4. borges – manuale di zoologia fantastica – 1979
5. musil – pagine postume pubblicate in vita – 1970

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I

Il fuco, chiamato anche pecchione, è il maschio dell’ape domestica. Nasce da uova non fecondate di ape regina feconda o vergine o dalle uova deposte da api figliatrici. Il suo corpo è grosso e coperto di peli; la ligula è corta per cui non può bottinare, ma solo assorbire il miele dai favi e deve essere nutrito di polline dalle operaie; non possiede pungiglione.
(wikipedia)

II

li guarda passare, osserva i loro cappotti graziosi, e intuisce lo sforzo compiuto per scegliere la pettinatura migliore, o il giusto paio di scarpe / coglie l’impegno elementare e commovente (tragicamente superfluo) per sembrare più gradevoli e attraenti agli occhi del mondo, oltre il perimetro dello sguardo che si specchia
vorrebbe dir loro che è tutto inutile, che le bastano pochi minuti per annoiarsi a morte e cercare l’uscita più vicina

poveri piccoli, pensa – poi si accorge che la disdetta è tutta sua, per via di quel bisogno che va oltre ogni piacevole conversazione, persino oltre la carezza lusinghiera della loro virilità che ammicca tra i discorsi
si annoia, avverte gli interruttori spenti dei suoi occhi e lascia rimbalzare altrove fiumi di parole che inevitabilmente non li accendono – rimpiange il silenzio di una stanza solitaria con un tavolo spazioso, i libri e le matite – rimpiange l’allegria sincera di una cena tra amici

la dimensione dell’incanto è proprozionale a qualcosa che lei contiene ma che non riesce a definire

III

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I

il primo sorriso dopo vari giorni è sorto spontaneo mentre durante la notte scorrevano le immagini di un documentario sui grandi pianisti del blues firmato clint eastwood
a un certo punto eastwood chiede a pinetop perkins (sono seduti entrambi al pianoforte) di suonargli un brano “alla pinetop” e l’arzillo vecchietto di colore (born 1913 – ndr) risponde che gli piacerebbe ma che no, da quando ha ricevuto una coltellata al braccio non suona proprio più come una volta!
(… e lo dice come se parlasse dell’artrosi o del gomito del tennista)
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II

nel frattempo, grazie a battiti scopro altre facce del blues, e durante l’intervista a dave soldier trasmessa qualche giorno fa ascolto una canzone dove il passato rauco e remoto della musica nera si mescola a sfumature metropolitane più vicine nel tempo  – la voce particolarissima che sembra di bambino è in realtà quella di lorette velvette, chitarrista e cantante dei the kropotkins, mentre quella da vecchio bluesman appartiene al violinista charlie burnham
(prima di guardare il video della performance dal vivo consiglio un ascolto alla cieca)
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the kropotkins
truckstop girls

You don’t know the darkness in my heart
summer days drain down in coffee grounds
read a cold destruction in my eyes
feel pealing thunder from the skies

and I rock and I roll
and I roll a big stone on your grave

Truckstop girl will paint her face and fire her grill and burns you off my mind
Heavy wind with heavy water now avoid the trooper’s daughter baby take your order any time

Truckstop girls

know every lie avoid her eyes and any driver here
Heavy wind with heavy water now keep your eyes on the quarter
watch it watch it watch me disappear

and I rock and I roll
and I roll a big stone on your grave

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I
tirata giù dal letto da un paradosso, attraverso la pioggia per andare a sbattere, ancora assonnata, contro la follia

II
decido di lasciare indietro qualcuno
tale superamento non contiene alcun senso di superiorità, od altra presunzione

III



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