Category Archives: diario

1
ma è vero? e che sarà di noi?
e tu perché, perché tu?
e perché e che fanno i grandi oggetti
e tutte le cose-cause
e il radiante e il radioso?
az

2
la citazione non è un diritto d’autore, ma semplicemente elaborazione di un pensiero forte e pregnante che ci sta portando altrove.
saper citare significa saper crescere.
http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2008/06/0017-speculazione-andrea-zanzotto-non.html

3
nel dialetto veneto si dice che la differenza tra un ingegnere ed un architetto sia la seguente “l’ingegnere dice scaca boton pinza la luce” tradotto “pigia il bottone e si deve accendere la luce” l’architetto dice “xe beo ? xe bruto ? parlemoghene” “è bello ? è brutto ? parliamone”.  forse il cittadino non ha più voglia di vedere gli incantatori di serpenti ma vuole vedere la luce accendersi.
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/archivio/ContentSet-f03207e4-0b67-42c0-b603-2d9e40ac5280.html

4
dalla radio mi arriva questa frase:
“trovo imbarazzante il qualunquismo dialettico”
concordo, pensando a una delle autentiche piaghe del nostro presente

 

1
in questi giorni ascolto poca musica
la tensione mi riduce al silenzio
così niente scalette
provo piuttosto ad organizzarmi l’ennesimo portfolio
riscrivo il curriculum, spedisco mail a destra e sinistra

routine della disoccupazione

2
passare in poche ore dall’estate al pieno autunno è stato come uno schiaffo
ci sono ancora i costumi da bagno nella borsa da spiaggia e nell’armadio stoffe impalpabili convivono con le lane pesanti dei cappotti ormai necessari / eppure dovresti amarli questi contrasti così vivi – assomigliano da vicino a quel tuo strano umore così instabile, che si altera all’improvviso ribaltando i toni dei pensieri /
la frutta non è più la stessa sui banchi del negozio, le castagne al posto delle angurie – i ricordi improvvisi di quei carretti che vendevano i marroni ad ogni angolo della città conformano l’autunno, e lo confermano / è la temperatura dell’aria che a volte trattiene più memorie della luce, e ne riconosci gli effetti sulla fisiologia: quel dolore acuto nelle orecchie mentre pedali la mattina presto, o gli occhi che con il clima rigido si riempiono di lacrime improvvise nonostante gli occhiali / ed era un paio di giorni prima che al sole dovevi startene in canottiera perché ancora bruciava, e tenevi la mano nell’acqua e nuotavi e ti scurivi la pelle sdraiata su uno scoglio caldo come una lucertola beata /

3
scrivi di tutto questo per attenuare il ricordo di una piazza triste, la scena deprimente delle solite facce che si ripetono le cose tra loro stesse come un’eco / non hai pazienza e non sai dove mettere le mani – non sai a chi chiedere – sembrano tutti normalmente intenti nelle manifestazioni di sempre, con gli stessi striscioni come se nulla fosse peggiorato, e si trattasse di uno dei soliti scioperi di cui ormai il governo non si accorge nemmeno / poi tornano a casa, danno da mangiare ai figli, guardano la televisione, e ogni volta mi chiedo dove siano quelli che il lavoro non ce l’hanno, quelli che la fabbrica li ha lasciati a casa e che da mangiare oggi si e domani forse / perché non protestano gli stranieri per esempio, per i loro compagni che tutta l’estate hanno compiuto un andirivieni incerto e spesso mortale sui barconi? perché non ci sono i cassaintegrati che dovrebbero essere incazzati come iene dato che le fabbriche delocalizzano e chiudono i battenti una dopo l’altra?
è questa immobilità polverosa che vorrei saper raccogliere con le parole, perché in fondo a guardarla si tratta di una piazza normale in un giorno normale di una qualsiasi città di mezza taglia: i banchetti del mercato hanno appena smontato le tende, ed arriviamo noi con i cartelli ritinteggiati e qualche gazebo – c’è anche una grande tepee indiana issata dai no-tav / gli anarchici invece hanno portato un sacco di cose buone da mangiare, più o meno consapevoli hanno azzeccato il senso, la direzione verso cui si dovrebbe camminare: innescare piccole miccie comunitarie, coinvolgere il corpo ed i cinque sensi, creare legami tra molecole, mescolare ingredienti per ottenere del nuovo /
intanto, a pochi metri di distanza dalle focacce anarchiche, sul vecchio pozzo di piazza XX settembre continuano stancamente gli interventi e rimangono ad ascoltare gli ultimi pochi, un capannello di resistenti che si aggrappano alla bava di illogica speranza che esce dal filo del microfono / insomma, il comune ci ha messi nella “zona giochi” per lasciarci sfogare, e noi educati e obbedienti restiamo a cincischiare mentre il mondo non cambia e la città tantomeno / a pochi metri di distanza c’è tutto lo struscio del sabato pomeriggio – approfittano delle ultime giornate di sole prima di novembre e non si accorgono nemmeno che ci sia qualcosa di diverso a portata di sguardo /
e forse hanno ragione, perché in effetti, da questo lato della piazza non c’è proprio niente di diverso

4

5
poco fa mi viene in mente quella ragazza, giovane e così esagitata da causarmi una specie di fastidio – con indosso la maglietta degli indignados disegnata a mano con i pennelli, batteva le mani tutta esaltata e incitava a gran voce i partecipanti / poi l’ho osservata, dietro al pozzo degli oratori – nei momenti di pausa si è preoccupata durante l’intero pomeriggio di raccogliere ogni minima cartaccia abbandonata in giro dalle persone e di riporla in un sacco nero, per lasciare la piazza in ordine /
è il ritratto che preferisco conservare di una giornata non certo all’altezza delle aspettative, in risposta a coloro che pensano che dietro il luogo comune di un nome (per giunta nemmeno italiano) ci siano soltanto altri luoghi comuni / capita invece che si tratti di generose e disinteressate forme di civiltà, ed è su quelle che dobbiamo investire

c’erano altre foto sulla card, oltre a quelle della manifestazione di oggi
c’erano la nostalgia, la luce scarsa di un mattino uggioso, il grande buco di un caro amico recentemente scomparso

recentemente dura tanto tempo
la protesta invece, si è indebolita subito, con lo scendere del sole dietro i palazzi

.

dire che non siamo danilo dolci e non siamo gandhi è solo un alibi per la non partecipazione a un processo di cambiamento comune e collettivo che il più delle volte non porta guadagni immediati in termini estetici, e che non è connesso con forme di creatività irregimentata (sempre basate su un margine più o meno consistente di edonismo: anche le nostre università traboccano di edonismo a molti livelli)

l’azione di denuncia individuale nel quartiere o nel paese, per quanto importante, non basta – quella a mio parere rappresenta la normalità, o dovrebbe essere così

c’è bisogno urgente di innescare processi pacifici di costruzione condivisa e di coinvolgimento, di offerta alla comunità della propria cultura e degli strumenti acquisiti / c’è bisogno di realizzare reti trans-locali, di individuare metodologie esportabili / c’è bisogno di metterci la faccia, di esporsi politicamente e di dismettere i panni mondani per indossare ruoli sociali

adriano olivetti, non steve jobs








 

… sorbo, ligustro o che altro?
era la mia ultima giornata di mare

ora rimane solo l’interminabile attesa di una precaria in offerta

fronte.retro

procedo con lentezza
sono lenta in tutte le cose
non parliamo se si tratta di fare una corsa – arrivo sempre ultima

anche i disegni si formano in tempi lunghi
a volte capita di pensarci per settimane
poi di mettere giù qualcosa, poco a poco
perchè tendo a distrarmi – facebook, il jazz, una mail da scrivere, fare pipì …

.


il giorno dopo esserti arrampicata su quei sassi hai male un po’ dappertutto
ma quel luogo magico e pieno di luce cura altri dolori