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muore theo angelopoulos, all’improvviso, investito da una motocicletta – e torna il freddo, ma limpido che quasi non sembra di essere in gennaio

le giornate si succedono senza che abbia voglia di dire o scrivere niente di particolare (eppure ce ne sarebbero di cosiderazioni da fare, visto come va il mondo) – invece, quando mi piglia qualche malumore, infilo un grembiule e mi metto a cucinare: un dolce, una minestra, oppure ricette mezzo inventate con le verdure di stagione

nell’atto di cucinare è racchiuso un piacere non solamente nostro, quello di poter offrire ad altri il cibo che abbiamo preparato, ed un ulteriore piacere deriva dall’apprendimento, dalla sua traduzione in risultato pratico, tangibile – lo percepisco nella capacità di affrontare svariate preparazioni senza distruggere la cucina e senza affanno, come se nel tempo i gesti fossero divenuti finalmente familiari, così come le dosi e la capacità di gestire le nostre imprecisioni, il sapere dove e quanto si può sbagliare

ed anche se non sono granchè, come cuoca, attualmente cucinare rappresenta un rifugio assai più di quanto lo fosse un tempo, quando lo facevo per molti amici e conoscenti, mettendo insieme alla buona qualche minestrone o delle gigantesche terrine di insalata, e quando se le terrine non bastavano, si serviva in tavola rovesciando le pietanze nelle pentole più capienti e nessuno protestava
allora il piacere era quello ben più vivido e intenso delle presenze umane, della condivisione di un tempo comune e non solo del cibo – le vivande erano un pretesto per trovarci intorno a un tavolo che poteva anche essere una porta messa su un paio di cavalletti in una casa ancora da arredare

ora tutto è calmo, più privato, la socialità è repentinamente appassita con l’arrivo in friuli – non ricordo tavolate numerose negli ultimi anni, solo alcuni pranzi di famiglia o con qualche amicizia più stretta – momenti che competono all’esistenza ritirata e sottotono che conduco, forse anche per mia scelta, in questa noiosa regolarissima città del nord-est

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la terza foto dall’alto, da “Trilogia: To livadi pou dakryzei” (la sorgente del fiume) del 2004







un compleanno in famiglia

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la cosa che più mi inquieta di questa mia stagione è la quasi totale astensione da lettura e scrittura [ che se la seconda è persino un bene, la mancanza di pensieri altri nelle giornate causata dalla prima, alla lunga diventa una pericolosa rimozione del confronto e dei meccanismi capaci di attivare e rigenerare il proprio, di pensiero ]

è come se l’accumularsi delle incongruenze quotidiane, personali e del mondo, mi avesse condotta a questa afasia, un’accidia che ha origine proprio nel pensiero irrisolto-irrisolvibile e che si traduce in una stanchezza esasperata e oscura

vista la pochezza delle mie letture, dei migliori libri dell’anno passato non mi provo nemmeno a parlare, ma nel frattempo mi concedo almeno alla musica, provando ad ascoltare i consigli di chi ha compilato i bilanci più autorevoli di fine 2011 anche se raramente mi trovo in accordo con gli entusiasmi troppo accondiscendenti ed a volte poco credibili dei recensori, perchè se è vero che il rock è morto, persino il jazz ultimamente sopravvive quasi solo grazie a riesumazioni, utili a chi come me ne mastica poco, ma carenti di quegli elementi innovativi di cui avrebbe tanto bisogno la cultura

personalmente, è da questo disco che non rimango più con il fiato sospeso dall’emozione ascoltando un lavoro di produzione più recente (… era il lontano 2007!), ed anche se riconosco che ci sono alcuni prodotti discreti in circolazione, mancano praticamente del tutto i capolavori! *

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se qualcuno la pensa diversamente si faccia pure avanti: ogni smentita delle mie affermazioni che si traduca in una segnalazione concreta sarà più che gradita

quest’anno ho apprezzato pur senza salti di gioia alcune piacevoli ripetizioni del già sentito, variazioni sul tema di ciascuno, ottime riproposizioni, ma nulla di nuovo che mi togliesse il fiato o che si avvicinasse anche solo vagamente all’idea di capolavoro: segnalo comunque kafka in flight del resonance ensemble di ken vandermark, double demon di starlicker e l’ultimo sao paulo underground (e consiglio il disco in uscita dei bang on a can, disponibile per il libero download fino al 25 gennaio sul loro sito)

ps/
un disco di rock-elettronico interessante, pur se con una certa profusione di contaminazioni e compiacenze formali, è silver di charles-eric charrier, che merita un ascolto così come red barked tree dei wire con la copertina di kounellis

per supplire alle carenze della produzione attuale, illividita dalla scomparsa di altri due grandi della vecchia guardia, paul motian e sam rivers, ho attinto a piene mani dai capolavori del passato, avvicinandomi più spesso al free e scoprendo fortunosamente alcuni dischi che mi erano in precedenza del tutto sconosciuti (perchè stupirmi?) e che confortano il mio presente nell’attesa moderatamente ottimista che alle mie orecchie giungano altri suoni straordinari, i suoni del nuovo, sperando soprattutto che quei suoni saranno accompagnati da altrettanta civiltà, visto che le cose, qui come altrove, buttano parecchio male …

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2011:
starlicker – double demon / delmark
resonance ensemble – kafka in flight / not two
sao paulo underground – tres cabecas loucuras / cuneiform
charles-eric charrier – silver / experimedia
wire – red barked tree / pinkflag


tra i capolavori del passato:
luciano cilio – dell’universo assente / 2004 (1977)
max roach – we insist! max roach’s freedom now suite / 1960
mike westbrook orchestra – metropolis / 1971
art ensemble of chicago – a jackson in your house / 1969
evan parker – boustrophedon / ecm 2008
roscoe mitchell – composition / improvisation Nos. 1, 2 & 3 / ecm 2007
roscoe mitchell – duets with anthony braxton / 1978

… ma non ho scattato fotografie

c’erano luci e regali, come per una festa
(la tavola insolitamente affollata ospita una parata di pietanze cucinate con cura –
al ritorno è già in ordine, calma, spaziosa)

sorseggio tardiva una tazza di tè
circondata dalle note rarefatte di una serata limpida, d’inverno
nel frattempo, i termosifoni scricchiolano una particolare forma di compagnia

 








La scala d’accesso non era alta. Avevo contato i gradini mille volte, sia nel salire che nel discendere, ma il numero non l’ho piú presente, alla memoria. Non ho mai capito se si doveva dire uno col piede sulla strada, due con l’altro piede sul primo gradino, e cosí via, o se la strada non doveva entrare nel conto. Una volta in cima ai gradini, m’imbattevo nello stesso dilemma. Nell’altro senso, voglio dire dall’alto in basso, era letteralmente la stessa storia.
SAMUEL BECKETT

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