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Mathew Arnold, che fu (nonostante qui non si sappia, il che equivale semplicemente a dire che non si sa) uno dei grandi poeti del diciannovesimo secolo, definì, in una frase che divenne celebre, la nullità intima della civilizzazione puramente materiale: ‘A cosa ti serve un treno che ti porta in un quarto d’ora da Camberwell fino a Islington, se ti porta da una vita miserabile e stupida a Camberwell a una vita miserabile e stupida a Islington?’

In effetti, rappresentando appena delle facilitazioni funzionali a una vita che dovrebbe avere fini più alti, le conquiste materiali non significano nulla di per sè, se non quando dalle loro applicazioni realmente scaturisce qualcosa relativa a questi alti fini. Sulla natura di quegli alti fini possiamo opinare: per alcuni potrebbero essere semplicemente la grandezza nazionale (è un concetto limitato, ma è, per la maggioranza degli uomini, l’unica cosa che veramente li trascina fuori dal loro egoismo naturale, e così rende possibile che costoro facciano qualcosa in più rispetto al vegetare attivamente); per altri consisterebbero nella felicità umana (che è un concetto parimenti riduttivo, in quanto cani e gatti, se fossero capaci di concetti sociologici, non ne avrebbero un altro differente); per alcuni si tradurrebbero in determinati obiettivi religiosi; per altri (tra i quali io stesso mi includo) nella creazione di valori civilizzazionali – valori artistici, scientifici, filosofici – che servano da stimolo e da consolazione per gli uomini futuri.

In sè stessa la civiltà materiale non è affatto una civilizzazione, ma semplicemente un perfezionamento. Migliorano le condizioni in cui gli uomini vivono; gli uomini possono o meno migliorare. È risaputo da tutti i sociologi che le condizioni climatiche estremamente benevole tendano a disturbare il progresso e la civilizzazione del popolo che ne è soggetto, per lo stesso motivo per cui non suscitano opposizione, facendo vivere la volontà, non producono difficoltà alla vita, destando l’emozione, non creano problemi di vita, svegliando l’intelligenza.

Quando, poi, in opposizione a argomenti come quelli che da ogni parte – escludendo le parti democratiche e radicali che attaccano per una questione di fanatismo politico – si ergono contro il fascismo, si risponde con la regolarizzazione dell’orario dei treni, con il miglioramento del valore della lira, e, perfino, con la stabilizzazione dell’ordine pubblico (supponendo che la pace varsaviana sia un ordine), non si sta rispondendo con niente: ci si riferisce semplicemente ad una cosa differente e che non si attiene al caso.

Uccidere, torturare, ingiuriare, non sono fenomeni necessariamente coinvolti nella produzione del buon funzionamento dei treni. Non è inconcepibile che si possa migliorare la lira senza bru. ciare biblioteche private e imporre sulla stampa una censura di carattere fisico. La medesima manutenzione dell’ordine […]

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pubblicato nel n° 163 del  jornal i / 12.11.2009
alias 16.10.2010 / traduzione antonio cardiello

questo è il tipo di “cultura” verso cui tendiamo (non solo in italia, a quanto pare)
questo il modello di “civiltà” che corrisponde a una società dove scuola e conoscenza vengono dopo commercio calcio e pornografia televisiva

nel frattempo – continuiamo pure a tamponarci gli occhi con foto graziose e gli orecchi con musiche sfiziose – continuiamo a scrivere dolci parole sulle ombre dei pruni nel giardino
foraggiamo il business dell’accondiscendenza tramite il qualunquismo creativo

a tutto questo ci pensi qualcun altro …

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foto: sky

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la scorsa settimana sono stata con un’amica al centro balducci, per un incontro autoconvocato di insegnanti che intendono manifestare contro la riforma in atto / da tutta la provincia eravamo solo una quarantina, la maggior parte già di ruolo e impiegati (non io, purtroppo, ma tant’è)
abbiamo parlato per circa due ore delle posizioni da prendere nei confronti delle direttive interne (rifiuto delle ore in esubero per favorire nuove assunzioni, annullamento delle gite) e per organizzare la protesta pubblica che avrà luogo a udine mercoledì pomeriggio in centro, segnalata da uno smilzo volantino stampato con l’aiuto della cgil
c’è un’atmosfera trattenuta e timida – nessuno ha il coraggio di essere ottimista e di esagerare, di questi tempi / credo che non sappiamo più come si fa, ad esagerare, o solo pochi se lo ricordano

penso a franco arminio, in questi giorni sul tetto dell’ospedale di bisaccia insieme ad alcuni altri per dire basta al malaffare e alla cattiva gestione del territorio e dei beni pubblici / penso a chi fa lo sciopero della fame, a chi per il lavoro ha messo in gioco la vita e la sicurezza
nonostante tanti esempi ancora sotto gli occhi, la maggioranza di noi ha paura, si è abituata a una sicurezza e a una traquillità indifferenti che sono difficili da lasciare indietro / io stessa scrivo questo post quasi senza cuore, con distanza – e soprattutto senza speranza
non è il governo a togliermi l’ottimismo – i governi passano, cambiano, si alternano
è proprio la gente che mi avvilisce, lo stato degli animi –  mi faccio paura da sola nella mia ritrosia accidiosa
è la condizione culturale del mondo che sgomenta, la patina di benessere apparente che priva tante persone del lume della ragione e della capacità di pensare in termini collettivi / sono i professionisti troppo impegnati a scarabocchiare nei loro studi, o lontani per viaggi di cultura, professionisti che scrivono solo sulle riviste di grido e organizzano eventi mondani e poi alle manifestazioni o ai sit-in non si vedono perché il tempo è denaro / è vedere i blog grondanti belle immagini, anche quelli amici, che non si scompongono di fronte a quanto succede a pochi metri di distanza dai loro tavoli da disegno (oggi in svezia vince il primo partito xenofobo nella storia della democrazia, per fare un esempio, e mi pare un atroce passo indietro, una misura evidente di come stanno messe le cose)
io stessa passo le giornate a cincischiare, a mettere insieme foto piacevoli e disegni sfiziosi nel tentativo di sbarcare il lunario, mentre tutto va a rotoli, tutto, fuori e dentro, va – a – rotoli
a cosa serve questo rimescolare segni se non cambiano le cose?
dove si applica l’impegno e come si esplicita nel lavoro creativo?
ho domandato questa cosa infinite volte su questo e su tutti gli altri blog tenuti nel corso degli anni ma nessuno risponde, nessuno – non c’è partecipazione, se non dove lo sfizio impera
e quelle che un tempo erano le persone in rete capaci di scrivere e di ribaltare le prospettive con poche parole ora tacciono, invecchiano, sbiadiscono – e lasciano i loro spazi virtuali (qui è proprio vera e tangibile, la virtualità) a impolverarsi nel silenzio
le professoresse e i professori pensano a insegnare diligentemente ma poi non si sporcano le mani, perché non si deve rendere la protesta politica, ed invece la protesta è e non può che essere politica!
abbiamo paura di esporci nella nostra forma politica perché non sappiamo più quale sia, e perché temiamo di perdere proseliti e partecipazione / ma con di fronte una tornata elettorale troppo vicina e senza sinistra (sentivo addirittura di un paradossale avvicinamento di alcuni del pd al partito di fini – ma dove siamo arrivati??), forse sarebbe il caso di farla, una rivolta politica, senza mezzi termini, senza le maschere cui ci hanno abituati vent’anni di benessere diffuso e superficiale

vivere una protesta politica significherebbe riavvicinarci a una chiarezza di intenti, e capire in prima persona quale debba essere la forma del compromesso necessario – significherebbe capire quali partiti sono in grado di aderire realmente alle nostre necessità ed a quelle della democrazia / la cultura gioca un ruolo fondamentale in tutto questo perchè probabilmente è l’unico strumento che genera consapevolezza / tra poco torneremo a riempire le case di libri di polisitrolo come quelli che si trovano nei negozi di arredamento, e in fondo lo stiamo già facendo, perché una buona parte dei libri che pubblicano e che noi leggiamo sono di polistirolo e non servono a imparare a pensare, al contrario sono manuali della dimenticanza e dell’oblio, così come tutte quelle musiche piacevoli e soft, o quelle assordanti da discoteca che impediscono di parlare, o quelle foto sbiadite e tutte uguali che imitano la nostalgia che piacciono tanto a ragazzi e blogger
la differenza è che ci vuole tempo per far sbiadire i ricordi, e che quando quei ricordi sono importanti non possiamo dimenticarne il valore così in fretta – non possiamo arredare il presente di apparenze e lasciarci inebetire dalle piacevolezze infarcendo di superlativi bugiardi e futili i nostri discorsi
questo è un tempo senza superlativi, senza appigli, è un tempo così scarno e difficile che se lo vedessimo senza maschera prenderemmo davvero paura / i libri e la cultura in generale dovrebbero servire a demolire il mascheramento, l’abbellimento posticcio e frivolo, e non a fortificarlo come invece succede
e c’è bisogno di parlare, di guardare gli altri e di ascoltarli, c’è bisogno di vivere la dimensione comune anziché quella domestica protetta e distante / non c’è democrazia senza sacrificio e questa nostra democrazia non sarà possibile senza rompere i televisori e dunque – probabilmente non sarà possibile

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un articolo di giorgio fontana sul manifesto di ieri è spunto e pretesto per alcune riflessioni in merito alla tendenza contemporanea (ma già evidente nelle parole di camus pubblicate sopra) di considerare l’artista e non l’opera, il personaggio e non il suo operato – in sintesi, l’immagine in vece della sostanza
ricordo di aver inteso nitidamente il senso della crisi culturale in atto durante una visita alla biennale veneziana di architettura, circa una decina di anni fa, quando entrai nel padiglione francese dove al posto dei progetti le pareti erano tappezzate con ritratti giganti in bianco e nero dei progettisti nazionali allora più in voga, ritratti su cui era riprodotta la loro firma altrettanto gigante …
tale scelta mondana mi scandalizzò e me ne andai disgustata, domandandomi se quello fosse un alibi per nascondere la carenza di buone architetture o se davvero fossimo giunti al punto in cui il progettista e la sua estetica personale fossero diventati più importanti dell’opera stessa

tutto questo deriva dal cinema? dalla distanza solo apparentemente breve che c’è fra il protagonista-interprete e il divo-persona?
per certi versi tumblr rappresenta un esempio di questa desostanzializzazione delle immagini e del loro contenuto: io stessa salvo spesso ritratti di grandi maestri delle arti, piuttosto che di politici od intellettuali, per l’aura che trasportano con sé – un’aura che riconosco come familiare, indipendentemente dal fatto di averli letti o studiati / l’immagine vive dunque un’esistenza a parte, di superficie e per certi versi scollegata dai contenuti,  frequentemente più intensa dei riferimenti culturali che veicola

intellettuali – ecco finalmente la controversa parola che mi ha condotta sin qui dall’articolo di fontana, dove si puntualizza la necessità di pensieri forti, indipendenti dalla verve estetica delle figure da cui tali pensieri provengono / il giovane scrittore si sofferma inoltre a riflettere pur velocemente sulla ricchezza del web e sulla necessità di trovare anche nelle letture online il risultato di uno sforzo che prescinda l’esibizionismo e il partecipazionismo di chi scrive – uno sforzo a sè stante, generato dalla volontà di mettere a fuoco dei contenuti mediante la scrittura

così la vera domanda non è di quali intellettuali l’Italia ha bisogno oggi, ma di quale pensiero. indipendentemente dalle figure che lo veicolano. indipendentemente da occhiali dalla montatura spessa, pernod su tavolini di parigi, o qualunque altro elemento che ci distolga dal solo punto chiave: il valore di comprendere razionalmente, liberamente, e criticamente, il reale.
perché sì, la mia preoccupazione più grande è che il pensiero abbia un effetto sulla realtà, e che il mestiere dell’intellettuale (ah, ancora questa parola) sia un mestiere nel senso più robusto e antico del termine. trasmettere la passione del ragionamento in una società che sta perdendo il valore dell’argomentazione.
ma come ho detto, a me gli “intellettuali” stanno sullo stomaco: non voglio altissime figure di riferimento, voglio parole che tocchino il cuore delle cose
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