bar / space

scrivo scrivo /

finisce sempre che qualche parola salta fuori, ma senza che possa esserne mai veramente convinta / sono così stupefatta di fronte a queste ennesime vacue-vacanze estive che mi alzo incredula ed eccitata dopo poche ore di sonno [sogno ripetutamente scuole e piccoli animali] con l’intenzione di mettermi al lavoro, disegnare leggere ingrassare il diario / ed invece cincischio, cincischio per intere giornate, girellando nei meandri del computer oppure consumando il pavimento a piastrelle del terrazzo camminando avanti e indietro /

fuori un sole limpido che ancora non scalda dopo la pioggia di ieri e un rumore di città che si risveglia /
anch’io mi sveglio [e mi svoglio] /
ho in bocca stralci del lavoro del poeta di paul eluard / un grumo di parole aggrovigliate che si azzuffano aggrappandosi fastidiosamente a denti e lingua e che scalciano e sgomitano cercando di uscire /

il vecchio volumetto di einaudi ormai ingiallito si apre qui
[nella traduzione di franco fortini]

sono gemello di quelli che amo
sono in natura il loro doppio sono
la migliore prova che esistono se
io li ho scelti per giustificarmi

sono gran numero sono innumerevoli
van per le vie per se stessi e per me
portano il nome mio io porto il loro
noi siamo i frutti simili di un albero

ch’è più grande del vero e di tutte le prove

ed ecco che il senso si inverte / il poeta non mostra ma nasconde, a volte assorbe l’apparenza altrui e se ne pasce, mangia gli specchi, diventa presunto e presuntuoso prestigiatore che confonde le carte / poi sbaglia e le cose non tornano più ad essere quelle di prima /
[ma ogni sbaglio a suo modo è rivelazione e si riallaccia misteriosamente al surrealismo di partenza] /

nascondevo anch’io le parole, sai, ma senza regola, per gioco e capriccio /
perfino per noia, a volte /
le barravo con segni luttuosi o con fotografie /
generavo anti-testi piuttosto che meta-testi /
non separavo né deframmentavo /
ma decoravo dolorosamente con l’assenza di senso /

poi -è passato poco tempo- i lavori sono ancora troppo freschi e acerbi per poterne dire granchè, ho preso pagine intere sgranandole alla vista, senza leggerle, pagine di barthes, per esempio, ma è un nome magico che potrebbe benissimo essere sostituito con il titolo di un manuale di istruzioni /

le pagine sono al fondo del discorso [è il caso di dirlo, poggiate sul pavimento], fotocopiate o faxate senza troppa cura, poi rivestite di grafismi tipografici, negate nel loro senso essenziale, quello della lettura / operazione analoga a quella condotta sulle immagini, prescindendo dal senso per considerare le parole come qualcosa da interpretare attraverso un atto puramente visivo, che le riconduca al magma indifferente, anziché tradurre noi nel paradiso estatico della concettualità e del significato /

dotted

barthes / 12 maggio

120507 / affronto senza perdere altro tempo il progetto delle pagine, di cui non ho ancora scritto una sola riga / comincio con barthes, l’impero dei segni [in verità il primo libro sul tavolo a portata di mano] /
l’idea è quella di procedere con il progetto fotografico, dove l’azione del ri-fotografare questa volta si concentra su pagine scritte / avevo già scattato foto a parole o frammenti in precedenza, ma ora vorrei affrontare la cosa in maniera diversa, attraverso un processo che prevede alcuni passaggi prestabiliti /
le pagine vengono scansite o fotocopiate, in modalità photo oppure al tratto, oppure ancora vengono spedite via fax /
successivamente stampo i file ottenuti dalla scansione [precedentemente scansisco anche eventuali fax e fotocopie] e rifotografo il tutto: da vicino, da lontano, dettagli e insieme, scatto anche alcune foto alle pagine appoggiate sul pavimento, una per una / a fuoco, mosse, fuori fuoco /
nessuno scatto prevede particolare perizia e non esigo un risultato qualitativamente impeccabile /
successivamente apro i file in photoshop e agisco sulle immagini cercando di attribuire un effetto drammatico ed estetizzante attraverso il contrasto o la sfocatura /
l’ultimo passaggio consiste nell’inserzione di ritagli in CMYK, a citazione delle matrici tipografiche / le barre e gli inserti in CMYK mirano ad accentuare l’atto cosmetico e formale, e rappresentano inoltre citazioni dell’atto di stampa tipografica [e quindi ad alta risoluzione] in contraddizione con il prodotto finale, stampato a risoluzione domestica tramite una stampante laser /

il risultato sono sequenze banali di foto banali in cui il testo è sezionato, oppure partizionato, od ancora sfocato e illeggibile / quello che mi interessa è che il contenuto passi in secondo piano rispetto all’idea dell’immagine in sé, e di operare cosmeticamente su una foto che non contiene i presupposti per farlo [bassa risoluzione, mancanza di messa a fuoco, assenza di qualità estetica, etc] /
in queste immagini nulla è tragico [a parte forse l’allusione a un mondo in cui la parola è considerata alla stregua di un’immagine senza valore, eludendo l’approfondimento e l’indagine] e tantomeno vi sono tracce del sublime o del bello / rappresenta piuttosto un percorso concettuale, ma giocoso distaccato e ripetitivo, il più possibile lontano dall’accademia così come dal perseguimento di un prodotto finale pregiato o prestigioso /

dotted

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published on parergon blog – 05.jul.2007

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