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Di tutti gli scrittori tradotti e studiati, se Melville è stato per Pavese il miraggio e non solo per lo stile, quello che diventa come la coscienza del suo destino, oltre che il suo presagio umano, è F.O. Mathiessen. Per la comune consapevole ricerca del linguaggio, per l’esigenza di un’organica unità tra l’arte e gli uomini raccolti in comunità, per la tendenza a passare dalla realtà conquistata ad un’altra realtà, per la trepidazione di mistero di fronte al mondo, per il senso tragico e per il considerare inutile la vita, dopo aver conquistato la maturità. L’influenza di Mathiessen è quella che Pavese porterà più a lungo con sé, fino a La luna e i falò, quando si sforzerà di trovare un giusto equilibrio tra simbolo e realtà e ricercherà un linguaggio realistico-simbolico. Mathiessen avrà anche un peso nel gesto estremo di Pavese. Il critico americano si suicida infatti nell’aprile del 1950; Pavese lo saprà e ne parlerà agli amici come di un gesto che non solo per lo scrittore americano era ineluttabile. E nell’agosto dello stesso anno Pavese lo seguirà nel suicidio.
DAVIDE LAJOLO