autoritratto riesumato / ancora valido

2005 . matita su moleskine

radio: domenica in concerto / bela bartòk – quartetto

non riesco a capire l’origine della mia forma / come e per quali cause sia arrivata sin qui, ad essere come sono, a sapere – o non sapere – quel che so e non so /
non intuisco la differenza specifica ed effettuale tra l’essere cresciuta in una certa famiglia, od un’altra differente, più aperta, più colta, più povera oppure più simpatica / né sono in grado di stabilire le mie responsabilità rispetto a tale processo di formazione

percepisco vagamente la mia forma, consapevole di mitizzarne molti aspetti – ma non so dire da dove e come mai / non so perché, ancora molto giovane, quando altri si rifugiavano nelle musiche generazionali, nelle canne e nei testi rivoluzionari, mi immergevo senza criterio tra montagne di libri altri, convinta che quello fosse il mio unico riscatto possibile / qualcosa dentro cui nessuno avrebbe potuto entrare se non fossi stata consenziente, la conoscenza, estraneo alla famiglia e soprattutto che superava la famiglia /

mi intestardivo a voler sapere cose che avrebbero dato sostanza e spessore al mio essere diversa da loro, più che da tutti gli altri / non capivo quasi nulla di ciò che leggevo ma mi contentavo di macinare pagine senza fermarmi / nè cercavo letture che mi erano note attraverso i discorsi di gruppo [anche se a suo tempo divorai tutto kerouac e gran parte dei testi disponibili sulla beat generation ed alcuni rimangono tuttora tra i miei preferiti] / scopersi rilke e fitzgerald, gogol, disdegnai herman hesse e tomas mann, così amati dai  compagni, per concentrarmi sul primo joyce e sulla poesia dell’ottocento e di inizio novecento / e poi sartre, a lungo, e kierkegaard, musil, milton e l’ariosto / montale sin da bambina, ma anche rafael alberti e i poeti cortesi / cominciai anche ad affrontare i principali temi dell’arte, dando fondo al materiale che già avevo in casa, e attraverso piccoli testi scovati per caso nell’unica libreria del paese / udine era lontana – ancora molto lontana

un disordine di lettura che sottendeva la necessità di ingurgitare parole, sfuggendo in tal modo all’impossibilità di condividere gli stessi riti collettivi di cui altri si cibavano con maggior disinvoltura: trovo tuttora che sentirmi parte di un gruppo o di un movimento sia la cosa più lontana da me, l’impraticabile, la chimera / non sono parte / non prendo parte / non approvo né disapprovo in profondità / non condivido

avverto la tensione sentimentale che mi tiene vicina ad alcune -poche- persone, ma niente di intellettuale di quotidiano o di spirituale mi unisce realmente a qualcuno / durante un tempo breve, forse, il senso della morte mi permise di guardare il mondo insieme a occhi non miei, ma altri vinse il gioco e per primo scelse – ed anche questa fu sanzione di una inevitabile separatezza, di una cesura insanabile /

il libro che da pochi giorni accompagna i miei viaggi in corriera [arte e filosofia di andrea pinotti] ha offerto alcuni spunti per riconsiderare gli obiettivi di lavoro e il rapporto con le immagini / il celebre saggio di heidegger in merito alla verità dell’opera contenuto nel piccolo volume completa le annotazioni tratte da vita activa della arendt, mentre merleau ponty mi spinge a riflettere sulla necessità di portare avanti un proprio percorso senza cadere nella scontatezza dei luoghi comuni, decostruendo le proprie conoscenze al fine di renderle autentiche /

dimenticare il sapere altrui per edificare il mio proprio: non è affatto semplice / e la verità di cezanne corrisponde al mio scopo? / mi interessa ciò che restituisce effettivamente la visione, oppure ho bisogno di altro e cerco altro? /ancora: è necessario attraversare un momento di cieca ubbidienza alla visione prima di avventurarsi in altre esplorazioni che si distacchino da tale fedeltà al vero?

alla base di ogni azione trovo la fragilità del senso del [mio] fare / la paura di non meritare simili spazi e di non dover esser io ad operare in tali direzioni / mi muovo in un ambiente saturo di banalità: quasi tutte le parole pronunciate intorno a me ed anche quelle scritte, i colori, le immagini, i segni grondano ordinarietà, sono lontani dal vero e dall’essere portatori di senso /

/ perché il mio lavoro dovrebbe essere diverso?
/ oppure: posso con fatica e impegno renderlo diverso?

disegno poco ed anche le fotografie si sono diradate, per la necessità di prendere tempo una volta ancora e far luce sulle mie reali necessità / come in precedenza, l’atteggiamento più difficile, ma anche più onesto, è quello della sospensione, dell’astinenza /
eppure, sotterranea, parallela a questo silenzio e perseverante, avverto la necessità di fermare anche solo con pochi segni e abbozzi, le impressioni che colleziono durante le giornate, che mi lasciano qualcosa di presente e significativo: / la presenza del dolore, quale linea guida delle azioni ed anche elemento formativo principale / forza scatenante / termometro / unica costante che ritorna e si ripropone nelle sue varie forme / dolore individuale, collettivo, mio, altrui / lama che si proietta oltre il margine delle giornate e condiziona anche la visione più pura, caricandola di significati altri /
dunque salta fuori che la visione non necessariamente può rivelarsi nella sua purezza, nella sua mera organicità, ma piuttosto trascinare con sé brandelli dello spirito, accezioni e deformazioni del senso / devono tali aspetti parlare ancora solamente tramite la cosa in sé, oppure esiste un margine estetico che l’invenzione si è ricavata nella vita stessa dell’immagine, e che ci trascina oltre la pura raffigurazione del reale?

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