percepisce nitidamente l’indole borghese di certe colleghe, quella particolare abilità nel combinare borse e scarpe che niente ha a che vedere con i patetici pendant da pochi soldi delle signorine di scarsa cultura, e tantomeno con il decoro sobrio di certe donne d’altri tempi che in modo quasi religioso assimilano la concordanza dei toni nell’abbigliamento a una forma di educazione di sottofondo, a un senso della dignità estetica impossibile da sradicare
invece, queste donne costosamente agghindate, capaci di combinare sapientemente il loro guardaroba in quanto parte di un rito mondano che compete al proprio ceto sociale, sicure ed eleganti con le loro grandi borse di marca (in verità non è solo prada a fare la differenza, il birkenstock può essere perfino più subdolo), le provocano una particolare forma di distante soggezione, una mestizia opaca – ed è impossibile per lei trovandosele di fronte abbandonarsi con disinvoltura al suo modo di essere approssimativo, percepire con agio i propri abbinamenti di oggetti e di pensieri, che contengono sempre qualche irrimediabile stonatura

l’inappartenenza è una delle questioni irrisolte, e quando si confronta con certe figure così definite socialmente, talmente riuscite nel distillare gli aspetti formali della loro essenza borghese, non può fare a meno di andare con la mente a tutte quelle figure che invece incontra quotidianamente sugli autobus o per le strade, la gente comune, le persone che potrebbe definire normali e che indossano e praticano una banalità senza pretese ma di cui spesso riesce a percepire nitidamente aspetti personali che le toccano il cuore

si sente sollevata ed estranea ad entrambe queste ragioni, capisce di trovarsi perennemente in bilico tra due sfere distinte e contrapposte, che trasportano diverse forme di brillantezza, a volte discutibili, altre misteriosamente emozionanti e complesse
ma quando prende la moleskine per scrivere o tracciare qualche segno, non è mai guardando alle signore inappuntabili e disinvolte dei ceti medio alti che trova un’ispirazione od uno spunto, e nemmeno alla capacità di certune di travestire la loro classe sociale facendola sembrare sinistramente alternativa – al massimo si incapriccia per qualche minuto di un cappotto o di un paio di pantaloni, che del resto non potrà mai permettersi, se non trovandoli per caso sul banco della roba usata, proprio come i protagonisti del romanzo di perec, pur senza uguali ambizioni di riscatto

pensa che l’abbigliamento rappresenti un codice significativo, un elemento di scrittura, un’indizio permanente di altri aspetti più incisivi della cultura, della personalità, e del ruolo sociale che ciascuno di noi riveste nel mondo – l’abbigliamento esprime e parla della nostra realtà indipendentemente dal fatto che siamo noi a sceglierlo o che sia una conseguenza involontaria delle circostanze od una necessità

… anche la nudità può rappresentare una forma di abbigliamento, si domanda? – capita mai di indossare il corpo come fosse una veste, qualcosa di cui potremmo o vorremmo spogliarci? e dove si collocano i tatuaggi? tra i gioielli od invece tra i capi di vestiario inamovibili della nostra pelle?

poi torna alla tazza del tè ormai quasi freddo

 

[sequenza di foto scattata a venezia nel 2002]

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