monthly archives: ottobre 2011

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ma è vero? e che sarà di noi?
e tu perché, perché tu?
e perché e che fanno i grandi oggetti
e tutte le cose-cause
e il radiante e il radioso?
az

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la citazione non è un diritto d’autore, ma semplicemente elaborazione di un pensiero forte e pregnante che ci sta portando altrove.
saper citare significa saper crescere.
http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2008/06/0017-speculazione-andrea-zanzotto-non.html

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nel dialetto veneto si dice che la differenza tra un ingegnere ed un architetto sia la seguente “l’ingegnere dice scaca boton pinza la luce” tradotto “pigia il bottone e si deve accendere la luce” l’architetto dice “xe beo ? xe bruto ? parlemoghene” “è bello ? è brutto ? parliamone”.  forse il cittadino non ha più voglia di vedere gli incantatori di serpenti ma vuole vedere la luce accendersi.
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/archivio/ContentSet-f03207e4-0b67-42c0-b603-2d9e40ac5280.html

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dalla radio mi arriva questa frase:
“trovo imbarazzante il qualunquismo dialettico”
concordo, pensando a una delle autentiche piaghe del nostro presente

 

ho compiuto una drastica selezione e domani finalmente proverò a stampare alcuni lavori (50 copie ciascuno) su carta hahnemühle, specifica per grafica digitale e belle arti /
le stampe saranno acquistabili su uno spazio etsy di prossima apertura, insieme ad alcuni pezzi unici ed altro materiale (cartoline ed altre stampe su carta meno pregiata)

ecco la mia selezione, per cominciare piuttosto ristretta (non mi faccio grandi illusioni) / si accettano eventuali consigli su disegni che vi piacerebbe trovare nel negozio: su flickr è possibile visionare tutti i lavori disponibili per la stampa a partire dal 2007 in poi

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I finally choose some works to be printed on fine art paper
they will be for sale in edition of 50 each on my etsy shop (opening soon) with some postcards, few unique pieces and other prints made on cheaper paper

I made a very strict selection, but you can browse my flickr account and tell me if there is something you would like to find in the shop

 









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in questi giorni ascolto poca musica
la tensione mi riduce al silenzio
così niente scalette
provo piuttosto ad organizzarmi l’ennesimo portfolio
riscrivo il curriculum, spedisco mail a destra e sinistra

routine della disoccupazione

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passare in poche ore dall’estate al pieno autunno è stato come uno schiaffo
ci sono ancora i costumi da bagno nella borsa da spiaggia e nell’armadio stoffe impalpabili convivono con le lane pesanti dei cappotti ormai necessari / eppure dovresti amarli questi contrasti così vivi – assomigliano da vicino a quel tuo strano umore così instabile, che si altera all’improvviso ribaltando i toni dei pensieri /
la frutta non è più la stessa sui banchi del negozio, le castagne al posto delle angurie – i ricordi improvvisi di quei carretti che vendevano i marroni ad ogni angolo della città conformano l’autunno, e lo confermano / è la temperatura dell’aria che a volte trattiene più memorie della luce, e ne riconosci gli effetti sulla fisiologia: quel dolore acuto nelle orecchie mentre pedali la mattina presto, o gli occhi che con il clima rigido si riempiono di lacrime improvvise nonostante gli occhiali / ed era un paio di giorni prima che al sole dovevi startene in canottiera perché ancora bruciava, e tenevi la mano nell’acqua e nuotavi e ti scurivi la pelle sdraiata su uno scoglio caldo come una lucertola beata /

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scrivi di tutto questo per attenuare il ricordo di una piazza triste, la scena deprimente delle solite facce che si ripetono le cose tra loro stesse come un’eco / non hai pazienza e non sai dove mettere le mani – non sai a chi chiedere – sembrano tutti normalmente intenti nelle manifestazioni di sempre, con gli stessi striscioni come se nulla fosse peggiorato, e si trattasse di uno dei soliti scioperi di cui ormai il governo non si accorge nemmeno / poi tornano a casa, danno da mangiare ai figli, guardano la televisione, e ogni volta mi chiedo dove siano quelli che il lavoro non ce l’hanno, quelli che la fabbrica li ha lasciati a casa e che da mangiare oggi si e domani forse / perché non protestano gli stranieri per esempio, per i loro compagni che tutta l’estate hanno compiuto un andirivieni incerto e spesso mortale sui barconi? perché non ci sono i cassaintegrati che dovrebbero essere incazzati come iene dato che le fabbriche delocalizzano e chiudono i battenti una dopo l’altra?
è questa immobilità polverosa che vorrei saper raccogliere con le parole, perché in fondo a guardarla si tratta di una piazza normale in un giorno normale di una qualsiasi città di mezza taglia: i banchetti del mercato hanno appena smontato le tende, ed arriviamo noi con i cartelli ritinteggiati e qualche gazebo – c’è anche una grande tepee indiana issata dai no-tav / gli anarchici invece hanno portato un sacco di cose buone da mangiare, più o meno consapevoli hanno azzeccato il senso, la direzione verso cui si dovrebbe camminare: innescare piccole miccie comunitarie, coinvolgere il corpo ed i cinque sensi, creare legami tra molecole, mescolare ingredienti per ottenere del nuovo /
intanto, a pochi metri di distanza dalle focacce anarchiche, sul vecchio pozzo di piazza XX settembre continuano stancamente gli interventi e rimangono ad ascoltare gli ultimi pochi, un capannello di resistenti che si aggrappano alla bava di illogica speranza che esce dal filo del microfono / insomma, il comune ci ha messi nella “zona giochi” per lasciarci sfogare, e noi educati e obbedienti restiamo a cincischiare mentre il mondo non cambia e la città tantomeno / a pochi metri di distanza c’è tutto lo struscio del sabato pomeriggio – approfittano delle ultime giornate di sole prima di novembre e non si accorgono nemmeno che ci sia qualcosa di diverso a portata di sguardo /
e forse hanno ragione, perché in effetti, da questo lato della piazza non c’è proprio niente di diverso

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poco fa mi viene in mente quella ragazza, giovane e così esagitata da causarmi una specie di fastidio – con indosso la maglietta degli indignados disegnata a mano con i pennelli, batteva le mani tutta esaltata e incitava a gran voce i partecipanti / poi l’ho osservata, dietro al pozzo degli oratori – nei momenti di pausa si è preoccupata durante l’intero pomeriggio di raccogliere ogni minima cartaccia abbandonata in giro dalle persone e di riporla in un sacco nero, per lasciare la piazza in ordine /
è il ritratto che preferisco conservare di una giornata non certo all’altezza delle aspettative, in risposta a coloro che pensano che dietro il luogo comune di un nome (per giunta nemmeno italiano) ci siano soltanto altri luoghi comuni / capita invece che si tratti di generose e disinteressate forme di civiltà, ed è su quelle che dobbiamo investire

così ho pensato il mio contributo al progetto inedite: un contributo politico
sin dall’inizio l’idea di collaborare a una rivista con un progetto editoriale tradizionale mi interessava poco, e tra le varie cose mi era uscita l’idea di fare dei workshop, di mettere in piedi progetti al posto di realizzare articoli
luca ha detto: facciamo una rivista dove ogni numero è frutto di un workshop – perfetto

non amo la fretta, mi piace che le cose prendano corpo con la giusta lentezza
se si respira troppo veloci si va in iperventilazione ed è quello che sta succedendo al trio in-èdite /
personalmente avverto il bisogno di chiarire molti punti ancora oscuri, e definire il senso di questa operazione che vorrei sociale prima ancora che editoriale
per gli interlocutori le idee che ho messo in gioco sono probabilmente troppo politiche e questo mi fa pensare che sarà difficile che vengano tenute in considerazione con il loro autentico scopo / ma non mi importa che siano solo mie, che abbiano un copyright, per cui ho deciso di trascriverle man mano su questo blog, che in fondo è il taccuino della mia vita recente / mi interessa che le idee – qui o altrove – diventino spunto per un progetto, ma che sia un progetto più vicino a pollini che suona ai cantieri navali di genova che a un colorato laboratorio universitario di creativi intenti a mettere in piedi strutture e plastici che dei ruoli sociali non tengono conto che in maniera lontana ed astratta

mi piace l’idea che i ruoli sociali si tocchino, si confrontino, si annusino
mi piacerebbe che i workshop vedessero protagoniste le persone, e non squadre di professionisti patinati intenti a tracciare grafici che nessuno al di fuori degli addetti di categoria sarà in grado di leggere e non mi sento attratta da un ambito di lavoro editoriale dove l’architettura costituisca l’intelaiatura portante
i problemi attuali delle città dipendono in parte dalla cattiva progettazione ma molto anche dal fatto che è difficile mettere insieme logiche di intervento destinate a una società che i professionisti di fatto non conoscono a sufficienza: complessa, atomizzata, che parla tante lingue e mangia cose diverse
la mia parte politica vorrebbe fortemente che questi laboratori (meglio laboratorio di workshop) fossero destinati al coinvolgimento di quartiere, all’indagine sociale all’interno delle scuole, a tracciare un quadro della vita nelle poche fabbriche rimaste in italia, a provare a vedere se esiste ancora l’artigianato e come si colloca nel contesto produttivo
immagino sarebbe giusto dedicare alcuni numeri ai bambini, altri agli universitari, altri ancora alle donne che lavorano in casa, sia come casalinghe che come operaie trasparenti e delocalizzate

sulla base di esperienze passate (da linch a max frisch) l’intervista e il questionario sono secondo me l’ipotesi più plausibile di strumento di lavoro, la più economica e comprensibile, per avviare il processo di definizione di un possibile progetto, dato che al momento nessuno ha ancora le idee chiare in merito al fatto che questi laboratori dovrebbero essere destinati a qualcuno e trovare quindi una loro condizione di necessità, di determinazione culturale ma soprattutto sociale

data l’attuale indeterminatezza del progetto, la mia proposta è quella di realizzare un numero zero in cui vengono poste una serie di domande a diversi attori privilegiati in merito alla sua possibile strutturazione: editori, professionisti, persone che hanno svolto attività di coordinamento, rappresentanti di gruppi sociali, ma anche esponenti della cultura e del lavoro (penso a renzo piano ed alle sue ormai lontane esperienze di progettazione partecipata, penso a franco la cecla,  a don gallo ed altri che hanno destinato i loro sforzi a progetti collettivi ed allo studio delle forme comunitarie, senza ottenere altrettanta risonanza e fama)

insomma, non è facile far decollare un’idea, trovarle una forma, uno scopo, un senso
ci si prova, a volte ci si annega, a volte no

[continua ?]

c’erano altre foto sulla card, oltre a quelle della manifestazione di oggi
c’erano la nostalgia, la luce scarsa di un mattino uggioso, il grande buco di un caro amico recentemente scomparso

recentemente dura tanto tempo
la protesta invece, si è indebolita subito, con lo scendere del sole dietro i palazzi

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dire che non siamo danilo dolci e non siamo gandhi è solo un alibi per la non partecipazione a un processo di cambiamento comune e collettivo che il più delle volte non porta guadagni immediati in termini estetici, e che non è connesso con forme di creatività irregimentata (sempre basate su un margine più o meno consistente di edonismo: anche le nostre università traboccano di edonismo a molti livelli)

l’azione di denuncia individuale nel quartiere o nel paese, per quanto importante, non basta – quella a mio parere rappresenta la normalità, o dovrebbe essere così

c’è bisogno urgente di innescare processi pacifici di costruzione condivisa e di coinvolgimento, di offerta alla comunità della propria cultura e degli strumenti acquisiti / c’è bisogno di realizzare reti trans-locali, di individuare metodologie esportabili / c’è bisogno di metterci la faccia, di esporsi politicamente e di dismettere i panni mondani per indossare ruoli sociali

adriano olivetti, non steve jobs








 

… sorbo, ligustro o che altro?
era la mia ultima giornata di mare

ora rimane solo l’interminabile attesa di una precaria in offerta

fronte.retro

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ultimamente la testa va un po’ dove vuole e nei giorni scorsi tentavo di capire come ci si potrebbe muovere politicamente (mi riferisco a una politica di lotta, non inerente ai partiti) in questa italia così malandata, anche alla luce dell’esperienza piuttosto avvilente della mobilitazione di settembre indetta dalla fiom-cgil /

[ nel frattempo – ancor più deprimente – si son susseguite due giornate di scioperi della scuola, disgiunti, venerdì i cobas, sabato la cgil: …ma dove è finito il limite oltre il quale i lavoratori perdono la pazienza e smettono di farsi prendere in giro dai sindacati?? ]

come ho accennato in un articolo precedente, il progetto “inédite” mi ha offerto lo spunto per alcune riflessioni sulla penosa situazione del nostro paese, considerazioni che forse non troveranno uno sbocco puntuale nella realtà ma che vorrei contribuissero a un’analisi disinibita degli strumenti di lotta e rivendicazione attualmente a disposizione dei cittadini – si tratta di aspetti a tratti marcatamente idealistici, ma non per questo secondari, che potrebbero a mio parere indicarci alcune direzioni plausibili /

mi pare evidente che servono strumenti di lotta diversi, più radicali
lo sciopero di una giornata probabilmente non è adatto a questi periodi di grave crisi del pensiero e della condivisione, ed una delle insidie principali è proprio la sua inefficacia, che va a demotivare progressivamente anche gli strati in precedenza più partecipativi che non ne percepiscono l’utilità concreta e vivono il disagio di rinunciare a un introito prezioso senza che tale contributo personale e finanziario vada a incidere abbastanza significativamente sulla realtà dei fatti / personalmente, al momento mi sento abbastanza presa in giro dai sindacati e dalle loro ridicole e inefficaci contrattazioni e per quanto segua da vicino gli orientamenti della cgil non mi trovo del tutto d’accordo nemmeno con le loro politiche recenti /

al contrario, seguo dal suo inzio con entusiasmo e interesse l’occupazione del teatro valle in roma, che sta offrendo un esempio bellissimo di come si possa convertire un momento difficile in una preziosa esperienza collettiva di arricchimento, i cui valori di fatto prescindono dai risultati possibili, essendo in ogni caso costruttivi in termini di sensibilizzazione politica e culturale / qualunque sia o sarà il destino del teatro e dei suoi lavoratori, tutte le persone impegnate nell’occupazione avranno goduto durante questo periodo di una eccezionale occasione culturale, sociale e naturalmente politica e questo rende il progetto un investimento collettivo in sè stesso /

immagino che una delle scelte possibili in questo momento in italia (se ne son visti numerosi focolai già l’anno scorso) sia quella di riprendersi ciò che ci appartiene – riappropriarsi degli spazi e dei beni pubblici significativamente coinvolti da politiche sbagliate – quegli spazi e quei beni che il malgoverno in atto da moltissimi anni sta convertendo e rovinando progressivamente per costituire una realtà a proprio uso e consumo, a discapito di un paese dove la qualità della vita e delle istituzioni (le due cose son strettamente legate) peggiora irrimediabilmente /
per riagganciarmi a quanto scritto in merito al progetto “inédite”, c’è bisogno di creare una lotta permanente e non di scioperare qualche ora o scendere in piazza una giornata per poi tornare alla propria vita di sempre / c’è bisogno di ribadire fisicamente il diritto a godere dei beni pubblici, piantonandoli al fine di evitarne la morte e la dismissione in favore degli interessi di qualche imprenditore compiacente, al fine di rendere la protesta evidente e capace di far sentire davvero i suoi effetti sui centri di potere / c’è bisogno di occupare le case cresciute sotto l’egida della speculazione, di trovare nuovi spazi per la gente, per i poveri e per quelli esclusi e puniti da questa manovra / non si tratta di cose che dobbiamo pagare, ci sono le tasse per questo, i contributi che abbiamo già pagato e che tuttora paghiamo per uno stato che dovrebbe essere al nostro servizio e fare il bene dei cittadini preservando la salute e la cultura del paese /
sappiamo quanto ciò sia lontano dalla realtà dei fatti

si rende probabilmente necessaria la formazione di comitati di occupazione (niente di militaresco, bensì aggregazioni spontanee e pacifiche di cittadini), gruppi di persone disposte a comunicare attraverso gli spazi fisici i loro diritti, assumendone il controllo fisico collettivamente, prima che vengano definitivamente posti al servizio di una politica sbagliata / fermare alcune attività (compiendo un’occupazione civile e rispettosa delle categorie indispensabili e necessarie) rappresenta una possibilità concreta di azione permanente dove ogni partecipante fornisce un contributo in funzione delle sue possibilità (occupare, cucinare, scrivere, insegnare, suonare, offrire manodopera e materiale) /
si tratterebbe di occupare luoghi strategici, non solo i tetti come accadde l’anno passato, ma i centri della cultura, scuole uffici e fabbriche, parcheggi, teatri e cinema, oppure andando a creare luoghi di aggregazione negli spazi commerciali incistando la lotta in aree scarsamente sensibili – od ancora, progettando sit-in e laboratori permanenti che trasmettano ai cittadini i contenuti e la necessità di un movimento di protesta attivo /

in tutto questo l’invenzione e la creatività svolgono un ruolo sociale imprescindibile, e la lotta per i diritti umani è di fatto molto vicina all’opera d’arte dal momento in cui contiene un valore intrinseco indipendente dal risultato finale, perché costituisce sempre un arricchimento se osservata in una prospettiva storica ed umana

i social network sono e sono stati importanti per la diffusione delle notizie e la trasmissione dei messaggi, per trovare aree di discussione teorica e riscontro su molti temi, ma come ci sta dimostrando il valle c’è bisogno di riassumere una relazione fisica con la lotta politica, una relazione attiva, compromettente e partecipativa /
lo sciopero quale forma efficace di rivendicazione probabilmente è morto
perché non proviamo a mettere il nostro corpo al servizio di una protesta più esplicita, permanente ed efficace? (e ritengo che stia nel permanente l’ingrediente fondamentale che attualmente manca allo sciopero – probabilmente se lo sciopero diventasse permanente allora condurrebbe a un cambiamento, anche se ovviamente non saprei dire in quale direzione) /
proviamo a riprenderci i quartieri e gli spazi pubblici ed a riappropriarci di una politica che non è mai stata realmente al servizio dei cittadini da moltissimi anni a questa parte / non aspettiamoci che i partiti e i sindacati si occupino di risolvere questa situazione, i loro rimedi sono degli inutili palliativi e non cambiano lo stato delle cose, anzi, il più delle volte rivelano forme di pericolosa connivenza /
questa dovrebbe essere una lotta di cittadini che si mobilitano per il bene comune, senza mediazione partitica o sindacale, le istituzioni possono e dovrebbero in ogni caso partecipare, ma senza condizionare una protesta che deve mantenersi pura, espressione di una necessità che si estende all’intero paese, senza diventare appannaggio di una specifica parte politica /
una lotta per ripristinare il bene comune e garantirne la sopravvivenza e la longevità

se volete fate girare questo messaggio, provate a dare una chance a riflessioni che per quanto utopistiche contengono dei barlumi di fattibilità e degli spunti di cambiamento / date spazio alla possibilità di cambiare le cose e soprattutto non abbiate paura di essere politici nelle vostre considerazioni e ancor più nelle vostre azioni, perché politica è tutto ciò che riguarda la polis, le persone intese in quanto collettività, e non espressione degli interessi particolari di uno o dell’altro partito