I
c’è un problema se una nota rivista di settore dedica un intero inserto al nuovo stadio della juventus elogiando il fatto che siano state rispettate tutte le esigenze funzionali ma senza mai menzionare quale sia il rapporto, più o meno riuscito, tra ciascuna di quelle funzioni e la forma strutturale e architettonica scelta per espletarle, parlando invece con tono quasi estatico di dettagli formali descritti come fossero capi d’abbigliamento, così che la copertura diventa un “guscio carenato” (quanti ce ne sono oramai in giro, di ‘sti gusci carenati?) “vestito in lamelle metalliche sfumando il bianconero di casa finemente contrappuntato dal tricolore” / c’è un problema se si elogia il fatto che arrivando a un’area terrazzata dello stadio si possa godere di una magnifica vista sul nuovo centro commerciale …

e soprattutto c’è un problema se chi scrive tutto questo è un docente di composizione architettonica al politecnico di milano

ebbene, questo post invece lo scrive una laureata in architettura attualmente senza occupazione che riflette su come le nostre università sprechino i pochi soldi a loro disposizione per assumere persone prive di talento analitico e probabilmente, se tanto mi dà tanto, anche didattico

+
… e c’è anche chi ha il coraggio di dire a bassa voce che il maxxi di roma non è poi così male, qualche amministratore ignorante perfino se ne vanta, petto in fuori e capelli unti, nei salotti dove girano i soldi insieme a occasioni ghiotte di nuovi incarichi / invece basterebbe il nome per capire che dietro la superficie di quel pachiderma realizzato con materiali indefinibili si nasconde qualcosa che non è neppure remotamente imparentato con l’architettura – semmai con la moda più commerciale e pacchiana, e con certe forme grottesche di edilizia del divertimento

II
leggo questa notizia e mi viene da piangere
penso a colui che forse è stato il più grande architetto del diciannovesimo secolo e l’animo diventa amargo, ammutolisce, va in polvere – perché la piega tragica assunta dalle cose e la sua palese irrimediabilità costringono a chiamare con il suo vero nome un pessimismo apparente che in realtà è realismo inoppugnabile

ho in mente le grandi architetture disseminate sul nostro pianeta, quelle che non ho avuto modo di vedere se non in foto e quelle che fortunantamente ho visitato di persona – le penso umilate da un mondo che non è più in grado di riconoscerne il valore /
penso a zaha hadid piena di soldi e di (vana)gloria
poi alla banca di adolf loos che adesso ospita un negozio “tutto a un euro”

e mi viene da piangere


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