a luglio dell’anno scorso mi esprimevo in merito alle modalità e le finalità del lavoro creativo e ripensandoci, credo che dovrei cercare di tener più presenti alcuni di tali principi / si tratta di una rieducazione delle nostre intelligenze all’invenzione non allineata e non sottomessa passivamente alle logiche di mercato ed ai formalismi innecessari che ne conseguono / i salotti sono stanchi e le gallerie sono conniventi: pertanto il lavoro culturale deve trovare altre strade, senza per questo dismettere la qualità in funzione di una superficiale divulgazione
soprattutto, dovrebbe essere condiviso e superare i confini adolescenziali e un po’ noiosi dell’ego (perchè è oramai fin troppo evidente come la condizione attuale dell’arte o di quel che ne ha preso il posto, faccia pensare a un limbo per eterni adolescenti …)

l’incitazione alla clandestinità si rende ogni giorno più necessaria

5 Comments

  1. Appunti nitidi. Tradurrei la clandestinità con l’attitudine ad una pratica non affermativa di se stessi. Meglio clandestini nel senso di sottotono. Nel senso dell’assenza di pretese necessarie e conseguenti ad un lavoro creativo. Separerei quindi l’attitudine dall’aggettivo di opposizione politica. Perché una mia malinconia di fondo consiste nella impressione locale che mi danno questi appunti – qui di progetto – caratteri che invece individuo di fatto quando mi capita di descrivermi società diverse dalla nostra. Certo che poi siamo tutti qui.

  2. Invece io non sono d’accordo con l’assenza di pretese. Un lavoro creativo, artistico quindi, deve avere pretese, deve avere un valore. Soprattutto, mi pare, deve poter circolare ed essere discusso, stracciato, fatto a pezzi e quindi ricomposto. Altrimenti non capisco il senso di questo tipo di produzione, se non è il riconoscimento. Altra cosa è dire che i quadri vanno tirati giù dalle pareti. Il punto è trovare una strada per mostrarli.

  3. continuo a pensare che lasciare un commento equivalga in termini di impegno e di importanza a scrivere un post / per questa ragione mi sforzo il più possibile di rendere comprensibili e coerenti i miei ragionamenti, per evitare che al contrario la replica agisca come un punto di fuga e dispersione, conducendo spesso la discussione a un punto morto / dobbiamo pensare che quanto scriviamo sia concime, altrimenti finiamo per infarcire i post di fiorellini e fiocchi senza cambiarne le prospettive

    chi mi frequenta da tempo sarà consapevole dell’importanza che la politica riveste nelle mie scelte a molti livelli diversi e della volontà esplicita della sottoscritta di infondere tale dimesione a quanto vado scrivendo e de-scrivendo in questo blog / non intendo scindere in nessun caso la dimensione storico-politica dall’aura estetica che avvolge i progetti, ed è dalla prima che cerco di partire arrivando alla seconda in funzione appunto di tali presupposti politici ed ideologici /

    non ho paura di utilizzare la parola ideologia, i tabù che le sono lievitati addosso mi danno fastidio, così come quelli che a suo tempo avvolsero ed appesantirono la definizione di intellettuale / le parole sono parole, le mode che ne condizionano l’utilizzo non mi interessano: questo è un blog a sfondo politico prima ancora che estetico (almeno così vorrei), in cui la vita personale si mescola con altri livelli di indagine e di espressione, ed ha strettamente a cuore la dimensione intellettuale, ma soprattutto quella culturale, implicita nel racconto delle situazioni

    pessima: per poter intendere pienamente quanto scritto nel post dovresti liberarti dell’idea statica ed oramai quasi del tutto inservibile (se non in una dimensione puramente edonistica o commerciale) dell’opera, per ragionare in termini di progetto e di condivisione di obiettivi ancor prima che di concretizzazione dei risultati / la visibilità arriva decisamente in un secondo momento, quando si è deciso cosa mettere in atto e soprattutto perché metterlo in atto / c’è bisogno di infondere pensiero alle cose, un pensiero che va raccolto, condiviso e fatto lievitare come un pane

    a suo tempo, quando scrissi la prima versione del post, avevo in mente una specie di operazione situazionista, azioni a scala territoriale, piccoli interventi di alterazione degli elementi urbani e periurbani: i segnali stradali, le indicazioni turistiche, i manifesti pubblicitari – non era possibile decidere a priori perchè il valore intrinseco in tali operazioni era quello di indicare ai giovani della carnia (nella fattispecie) che esistevano modi diversi di poter vivere l’osteria così come il salotto di casa e che le occasioni di aggregazione devono ricavare forza dall’invenzione, prima di cedere alla noia e trascorrere le giornate a riempirsi di birra o fumando sigarette seduti su un muretto – soprattutto dovrebbero rappresentare una maniera attiva di relazionarsi al territorio, realizzando oper-azioni cognitive prima ancora che dimostrative (per dare sfogo alla creatività devi prima conoscere bene quello su cui andrai ad applicarla)

    la mia dissertazione nasceva in risposta all’idea di fondare un circolo culturale e ricreativo ed al conseguente problema di trovare un luogo dove svolgere le attività, affermando appunto che la miglior dislocazione di un circolo sarebbe stata quella che si realizza attraverso il riuso di luoghi apparentemente non vocazionati a tale scopo e che l’investimento reale risiede non nella logistica ma negli obiettivi di pensiero e di utilizzo del tempo

    ps/
    quanto alla questone dell’attitudine clandestina di un’ipotetica operazione creativa, le ragioni che adduco sono molteplici: senz’altro quella del gioco, ma soprattutto l’idea di sfuggire a logiche esibitorie e spesso a sfondo commerciale che già da molto caratterizzano gran parte degli eventi, anche a livello locale, per provare a dare valore ad altri aspetti: umani, culturali, di contenuto, andando a scoprire e reinventare un territorio d’azione e di pensiero alternativo a quello convenzionale e con fini più o meno delicatamente sabotativi (o più semplicemente di alterazione) nei confronti dell’esistente

  4. Come spesso accade, non so spiegare bene il mio pensiero, forse perchè non abbastanza meditato. Credo anche io che si debba parlare in termini di progetto/processo, più che pensare immediatamente ad un’opera, non sono così edonista da pensare il contrario. Ma a tutto questo, al progetto prima e all’opera poi, occorre che sia dato- prima di tutto dall’autore- un valore, non in termini monetari, tutt’altro. Credo anzi che proprio pensare in termini di una possibile condivisione sia la misura del valore di un progetto/opera.

  5. si, era proprio quello che affermavo nel post, anche se in realtà avevo dato un po’ per scontato che si intendesse il passaggio necessario dall’opera intesa in senso tradizionale all’immaterialità o informalità del progetto-processo
    +
    la questione della responsabilità del commentare non era rivolta specificamente a te, ma era una riflessione più generale in merito al fatto che spesso mi risulta difficile replicare a commenti laconici o di cui non afferro pienamente il senso

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