tempo fa mi ero soffermata a riflettere sul divario esistente tra un popolo di consumatori e uno di cittadini, dove quest’ultima parola richiama l’idea di civitas e dunque per assonanza e affinità quella di civiltà, facendo riferimento alla capacità di scegliere in ambito civile e politico ma prima ancora di intendere quali siano le condizioni e le prospettive che riguardano la propria nazione (ed aggiungerei anche quelle del proprio pianeta) /
tali considerazioni si rivelano più che mai attuali dopo le dichiarazioni del sindaco di firenze matteo renzi (esponente del PD, sottolineo: PD), inspiegabilmente (?) capace di largo traino di consensi, che si è espresso in favore di un’apertura dei negozi durante la giornata del prossimo primo maggio /
la stampa si è profusa in considerazioni ideologiche (giuste e condivisibili) relative al rispetto della festa dei lavoratori, ma pochi sono andati a sottolineare come, da destra e da sinistra, non piovano ormai altro che incentivi al consumo, invitando le persone a diventare dipendenti da logiche di natura meramente commerciale / dimentichiamo progressivamente il valore impalpabile profondo e soprattutto non monetizzabile dei simboli e della memoria; ogni data sul calendario diventa pretesto di celebrazione materiale – per la gran parte delle persone, ciò che non si può acquistare in un negozio sostanzialmente non esiste, non ha valore / non siamo quasi capaci di immaginare le nostre città con le vetrine spente, non possiamo sopportare di non mettere mano al portafoglio per 24 ore filate, e questo va a incidere sulla qualità e sulla natura del nostro tempo, sulla struttura dei pensieri, e infine sull’impostazione dei nostri obiettivi di vita /
faccio parte di una generazione che ha conosciuto l’atmosfera tipica delle città domenicali e festive, il brulichìo di figure sui sagrati all’uscita dalla messa, il caffè della piazza pieno di persone vestite con decoro e il giornalaio che vendeva anche i tabacchi solo durante le prime ore del mattino, il cinema aperto nel pomeriggio silenzioso, qualche bar di periferia in cui giocare a carte o a calcetto e le lunghe ore domestiche a sonnecchiare sul divano di fronte alle partite, o se la stagione lo consentiva, a girellare in bicicletta / chi poteva si permetteva una gita fuori porta, ogni tanto si andava a pranzo da parenti e si tirava fino al tardo pomeriggio seduti dentro sale da pranzo ornate di centrini e tinelli pieni di terraglie finto settecento ereditate dai nonni / la città domenicale era qualcosa da accarezzare nel passaggio, silenziosa e discreta con le sue serrande abbassate e le insegne mute, sospese in una metafisica assenza di fermenti commerciali / lasciava che parlassero gli spazi della vita privata e famigliare, o quelli delle celebrazioni di chiesa e calcio, i due paradossali gangli della nostra identità nazionale / erano città con ampi lacerti taciturni, dove si poteva finalmente scoprire un’anima altra, in un risvolto tettonico e diversamente poroso degli ambiti urbani /
non so dire se allora fosse meglio, ma sicuramente c’era una misura nelle cose che abbiamo gradualmente perduto, un equilibrio tra vari ingredienti che consentiva un vivere meno compulsivo e lasciava maggior spazio ad esperienze di natura sociale ed affettiva ed a riflessioni più intime /
credo siano cambiate molte cose non tanto nel nostro modo di vivere la domenica o le festività, quanto nelle modalità di condivisione del tempo all’esterno ed all’interno delle nostre case, per un’impostazione più stentorea della socialità e per un rumore soverchio che inibisce il pensiero / e naturalmente c’è il fatto che gli spazi urbani hanno perso molta della loro qualità antropologica, a causa di un’approssimazione incalzante implicita nella crescita dimensionale e per un’assenza di cura e cultura che hanno provocato una dismissione progressiva delle varie forme di identità (responsabili dei processi di relazione e aggregazione) /
tutto questo spiegato in soldoni, ma c’era davvero bisogno di promuovere una nuova occasione per mettere mano al portafoglio ed affrontare lo spazio cittadino dal punto di vista del mercato? non sarebbe stato meglio inventarsi qualcosa che portasse le persone a viverlo in maniera collettiva, a riscoprirne la storia, le potenzialità e i talenti, unitamente al fatto che la celebrazione di una festa che affonda le radici nella tradizione storica e politica del paese dovrebbe essere comunque valorizzata e celebrata con pieno rispetto del suo valore nazionale e del suo significato?
sinceramente mi auguro di cuore che le nostre città possano trovare in fretta rappresentanti migliori, soprattutto mi auguro che i tanti elettori del partito democratico recuperino un margine di coscienza (politica, sociale e culturale) e che non si facciano più infinocchiare da inutili e vacui slogan di rottamazione per assumersi finalmente la responsabilità di pretendere governanti più convincenti e capaci
questa a parer mio è oggi la resistenza: non af-fidarsi con superficialità e leggerezza alle parole inconsistenti di chi non è in grado di garantirci alcuna sostanza e ricominciare invece a pensare con la nostra testa, per recuperare un’autonomia di ragionamento che abbiamo gradualmente smarrito proprio a causa di un incalzare arrogante dei media e di un benessere materiale che ha sostituito i momenti di socialità e di costruzione collettiva con altri di natura commerciale, che ci vedono frenetici e isolati a spendere individualmente i nostri soldi per acquistare merci scadenti e il più delle volte perfettamente inutili
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