monthly archives: novembre 2010


parole / rafael alberti

in stato di bozza:

alle primarie del centrosinistra vince giuliano pisapia staccando stefano boeri di circa 5 punti

le considerazioni che mi sento di fare corrispondono ad altrettanti dubbi e riguardano in primis l’attendibilità di questo genere di elezioni nell’individuare un plausibile candidato che ottenga altrettanto consenso in un contesto più allargato (comunali, regionali, nazionali)

c’è poi una questione legata alla comprensibilità del messaggio, là dove una comunicazione più semplice e diretta risulta rassicurante e produce maggior consenso / boeri sarebbe stato da svariati punti di vista il candidato più adatto ad affrontare la gestione di una città come milano, ma alla stregua di molti altri professionisti ed intellettuali non ha forse trovato un modo funzionale per rivolgersi ad un elettorato eterogeneo; inoltre non possiede certo un curriculum di stampo popolare (da cui emergano con evidenza la propensione alla solidarietà ed una concezione della società non piramidale)
ottimo interlocutore e moderatore all’interno di un contesto professionale e culturale di settore (come fu ad esempio quello di domus, pur con una serie di possibili contestazioni in merito alle scelte della sua linea editoriale) risulta forse un personaggio più ambiguo e scarsamente abbordabile per una platea variegata e con diversi toni di scolarizzazione e di percorso lavorativo

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ha immaginato abiti in forma di meduse *  ha guardato la televisione
si è addormentata spesso *  come non avesse da fare

quando è ricomparsa dal niente della casa il salotto era già pieno del buio invernale

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il testo del volantino:

Esiste oggi un problema di svalorizzazione della forza-lavoro intellettuale?
Knowledge workers, free-lancers del sapere, classe creativa… Quali sono le condizioni in cui vivono e lavorano i giovani più colti e istruiti? Che cos’è l’intellettuale nell’epoca della new economy? Cosa significa fare cultura al tempo della globalizzazione? E a cosa aspirano i precari laureati e pluri-specializzati di oggi, quando le istituzioni – scuole, università ed enti di ricerca pubblici – che dovrebbero garantire loro una prospettiva si stanno estinguendo? C’è ancora modo di valorizzare il lavoro di chi ha la funzione di inventare e diffondere il sapere?
Quello dei lavoratori precari della conoscenza – veri e propri operai a chiamata del sapere – è uno degli aspetti più paradossali, e assieme uno dei più nascosti, di un assetto sociale ingiusto e contraddittorio. Nella produzione post-industriale – si dice – i modelli economici si reggono sulla creazione immateriale di valore economico reale.
Ma di quale economia della conoscenza possiamo parlare quando il sistema scolastico si regge su un utilizzo ormai strutturale di supplenti che cambiano luogo di lavoro ogni anno, e spesso più di una volta all’anno? A quale possibilità di sviluppo ci riferiamo quando migliaia di corsi universitari, più o meno fondamentali, sono adati a studiosi che non hanno nemmeno i mezzi per condurli in condizioni dignitose?
Forse la mobilitazione dei precari della scuola e della ricerca è nata e sta cercando faticosamente di svilupparsi proprio per questo: per definire ciò che essi (non) sono, per illuminare la loro condizione, per dare voce alle loro aspirazioni. Si tratta di una mobilitazione che non richiede nessuno sguardo pietistico o compassionevole, ma pretende di aprire una discussione aperta sul ruolo e sul futuro dell’istruzione, della ricerca, della cultura in un paese in cui c’è il rischio che si perda ogni gusto a essere istruiti.

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dovrei scrivere qualcosa in merito a quelle sedie sfondate, perchè ricordo quando arrivarono nel cortile del bar, con i loro colori moderni, a sostituire le vecchie sedute pieghevoli di legno dipinte di verde scuro
le varie stagioni della memoria come scatole cinesi che si inghiottono una dopo l’altra, e certe cose che invece non cambiano: i manifesti si attaccano ancora con colla e spazzolone

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forse una questione di pieni sospesi, vacillanti nella luce
oppure il silenzio del cimitero appollaiato sopra l’ampio bacino brulicante della valle
l’isolamento inerme di ciascuna foglia caduta e aderente all’indifferenza della sua pietra

(il tutto di questo stare nella luce assume la forma di uno svuotamento)

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