la solitudine dei numeri primi
somewhere
martedì ho trascorso l’intero pomeriggio al cinema
due film, uno dietro l’altro – cosa che di solito non faccio mai perché dopo aver visto e ascoltato una certa storia ho bisogno di lasciar decantare le immagini e prendere distanza, prima di affrontarne un’altra
un po’ come quando si beve del buon vino, o semplicemente del vino, e non è così facile passare da uno all’altro cambiando retrogusto e profumo – spesso è frustrante per il palato
insomma, la continuità tra esperienze differenti talvolta disorienta
in questo caso specifico forse ha provocato un effetto di contrasto che ha certamente condizionato il giudizio
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le due ore della solitudine… sembrano avere durata interminabile ma ciò non va inteso negativamente – anzi, la densità del film è sorprendente – due ore due vite due storie – innumerevoli cambiamenti e un gioco di avanti e indietro nel tempo sapientamente sfiancante, con sulle spalle tutta la sofferenza inespressa che incombe e si gonfia fino al delirio delle sequenze terminali
nella gestione registica tagliente di questo dolore incalzante e quasi senza speranza emergono affinità con il garrone di primo amore – per aderire alla storia gli interpreti cambiano in modo sorprendente durante il film che diventa in tal modo opera totale – il coinvolgimento attoriale è quasi assoluto – questo per rendere giustizia alla narrazione, per farci credere a un’invenzione che è invenzione del dolore soprattutto, ma anche di forma e colore (c’è una costante vena surreale che intride la scena e impercettibili richiami ad ambientazioni da grande cinema dell’inquietudine, sto pensando a shining, per esempio)
i personaggi sono crisalidi sofferenti e riservate – non trovano modo di uscire da un bozzolo di infelicità e scarificazione che si impone sul corpo in forma di menomazione subita o autoinflitta e inseguono nel corso degli anni una via di uscita che alla fine è fuga dal mondo e realizzazione sentimentale, lasciando che nell’epilogo la storia si risolva in un mero accenno, dichiarazione d’amore raccolta in un gesto intravisto, ipotesi non chiara eppur lampante
quel gesto è parentesi chiusa (e implicitamente riaperta) sul futuro non più nostro dei due protagonisti
nel film ci sono anche debolezze, punti in cui costanzo calca forse un po’ troppo la mano per ottenere un’amplificazione del senso e dello smarrimento – timi clown è ingiustificatamente pauroso e grottesco, e l’insieme degli eventi sembra congegnato per pompare la storia, per enfatizzarla – tali forzature allontanano dalla percezione di una verità necessaria a fare del buon cinema un cinema straordinario
quella di costanzo è un’eleganza italiana, scarna e incisiva, che nonostante il cognome non è certo familiare alla coppola, in somewhere così smaccatamente vicina all’universo iconografico promiscuo e pulviscolare che attualmente pervade fotologs e youtube fino alla saturazione
non pensavo fosse possibile vincere il leone d’oro utilizzando un linguaggio filmico così scontato e a buon mercato, talmente già visto da diventare quasi citazionistico
ma purtroppo non è citazione (sarebbe stato certo più interessante ed ambizioso: una citazione del presente nel presente) – piuttosto vizio di forma, immersione nel mondo patinato fino alla dipendenza ed all’assoluta scarnificazione dei contenuti, dispersi e quasi dimenticati – una storia tipicamente americana, minimo pretesto per una serie di scene e ambientazioni, uno sguardo spietato eppur compiacente sul mondo di personaggi in transito la cui dismisura diventa misura hollywoodiana (ignoranza a misura di schermo, vacuità a misura di schermo, mondanità a misura di schermo e così via)
ma una scena basta a tutto il resto del film: l’attore imprigionato sotto una maschera di schiuma respira immobile dai buchini delle narici, aspettando che il calco indurisca – la solitudine immobile e prolungata del protagonista sotto la telecamera offre un momento di sconcertante verità e finalmente trat-tiene lo spettatore, anzi, lo precipita nel nulla autentico che conforma l’ambientazione della storia
per il resto, una pellicola nel complesso pretestuosa, e direi anche piuttosto noiosa
cinema a bassissima densità e, a differenza dei precedenti, nemmeno una colonna sonora fuori dall’ordinario
qui trovate una recensione molto più seria e completa di somewhere :) |